“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

lunedì 9 maggio 2011

FRANCESCO E L'UNITA' D'ITALIA


Chi ha seguito questo blog ricorderà che la pagina "STORIA DI FRANCESCO E DELLA SUA DIVINA COMMEDIA" (cliccare qui) ha lasciato aperto sulla figura di Francesco Limarzi diversi interrogativi. Uno di questi, il più importante forse, era il ruolo da lui ricoperto negli anni tumultuosi della sua giovinezza. Anni, quelli, che videro coinvolta direttamente la sua terra con l'arrivo delle truppe di Garibaldi nell'agosto del 1860 e che, guarda caso, fecero da spartiacque fra la sua vita di Marzi e la sua vita di Castellammare di Stabia.
Riprendo qui di seguito un brano di quella pagina:

Nel 1860, a Marzi, mentre Maria Laura muoveva i primi passi e mamma Giovanna cullava il piccolo Raffaele in fasce, passò quindi un vero e proprio ciclone. Il ciclone di quella rivoluzione Garibaldina il cui 150° anniversario noi italiani stiamo celebrando proprio quest’anno.

Ora, non è dato sapere che influenza abbia avuto tutto questo nella vita della famiglia di Francesco, ma non credo proprio che sia scivolato via come se nulla fosse. Non è dato sapere con certezza nemmeno se il giovane Francesco faceva parte di quegli arruolati che hanno combattuto per le campagne della Sila, certamente però all’epoca aveva una età (22 anni) nella quale era impossibile defilarsi.
Certo, nulla si può fare se non supposizioni, ma è strano che, in coincidenza di quegli anni e di quei grandi tumulti Francesco, Giovanna e i loro piccolissimi figli scompaiano dalle cronache e dall’anagrafe di Marzi e ricompaiono molto tempo dopo a Castellammare di Stabia. E qui la coppia, che per 10 lunghissimi anni non ha avuto figli, improvvisamente ridiventa prolifica: in soli sei anni nasceranno in quattro: Egidio (1872), Adolfo (1873), Silvio (1876) e Umberto (1878).
Difficile non pensare che questo lasso di tempo sia da imputare ad una separazione di Feancesco e Concetta che, non dimentichiamolo, avevano concepito tre figli nei primi quattro anni e mezzo di matrimonio. Uno stacco così lungo fra questi due periodi estremamente prolifici fa inevitabilmente riflettere.

Cosa è successo in quei 10 anni? Perché è fuori di dubbio che qualcosa è successo.
Francesco è andato in guerra? E poi: cosa lo ha portato a Castellammare? In fondo il percorso da lui intrapreso dal profondo della Calabria alle coste campane è il medesimo fatto delle truppe garibaldine.

Sono tutte domande alle quali è impossibile dare risposta, ma che è impossibile non porsi.


Anche mio cugino Silvio si poneva il problema e scriveva in un commento alla pagina:

Perchè Francesco scelse proprio la Divina Commedia?
La conoscenza diretta di De Sanctis?
L'impegno politico oltre che letterario di riversare un testo sacro in italiano nella lingua della sua terra d'origine all'alba dell'Unità d'Italia, che forse anche lui materialmente aveva contribuito a creare?
Forse veramente ha fatto parte della Brigata Bruzio!

Io ero profondamente convinto che Francesco avesse combattuto con i Garibaldini. Molto più di un "tarlo" me l'aveva messo Bruno Li Marzi dicendomi che suo padre questa cosa gliel'aveva sempre raccontata, in più c'era una coincidenza di date e di percorsi troppo clamorosa. Ma mancava la cosa più importante: la prova di tutto questo.
Ricostruendo queste vecchie storie, infatti, sono sempre le congetture a farla da padrone. Senza di esse non sarebbe possibile andare avanti: sono loro a farti prendere una strada sulla quale lavorare, ma confondere le congetture con la verità sarebbe l'errore più clamoroso da compiere.
Per fortuna la prova è arrivata. Se ne stava nascosta dal 1982 dentro un testo che proviene dall'UNIVERSITA' DI MACERATA e precisamente dagli ANNALI DELLA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA - Vol. XV. Nel testo c'è un lunghissimo capitolo ad opera di Carmine Chiodo (docente universitario autore fra l'altro della "Antologia Della Lettura Calabrese" - Anno 2000 - Luigi Pellegrini Editore) che titola:

STORIA  E UMANITA': TENDENZE DI ALCUNI POETI DIALETTALI CALABRESI DELL'OTTOCENTO E DEL NOVECENTO
in questo capitolo una nota:


Francesco quindi combatté al seguito delle truppe di Garibaldi e, prima di trasferirsi a Castellammare rimase nella sua terra a combattere il brigantaggio.
E' bello sapere che se ora siamo qui, dopo 150 anni, a festeggiare l'anniversario dell'Unità d'Italia un pò lo dobbiamo anche a lui che, giovane sposo e padre, ha scelto, come migliaia di ragazzi come lui, di non tirarsi indietro.

E' bello anche scoprire che, dopo tanti anni ha trovato il suo piccolo spazio anche in un testo edito a cura di una Università (Macerata) ben lontana dalla sua terra. Testo fra l'altro che bene ci fa contestualizzare l'epoca in cui Francesco scriveva e che ci fa capire che combattere per la libertà e scrivere poesie non erano cose poi così lontane. A questo proposito ne citiamo l'introduzione:

"La poesia dialettale calabrese ottocentesca e novecentesca rivela caratteri ben diversi da quella precedente, e in particolar modo da quella del Seicento…. i due ultimi secoli sono stati segnati da tristi fenomeni politico-sociali ed economici: il brigantaggio, la mafia, una eccessiva politica fiscale a danno delle classi subalterne, le arretrate condizioni della regione durante e dopo l’unità d’Italia, l’emigrazione. Ciò costituisce il sostrato della poesia otto-novecentesca: nessun poeta dialettale di questi due secoli si sottrae alla trattazione di uno di quesi temi, tra i quali, spicca, specie in alcuni poeti dell'ottocento, quello legato alla contestazione e alla ribellione contro il governo italiano, accusato di non varare una politica che possa migliorare la regione: anzi, frequente è l'accusa che dell'estrema arretratezza della Calabria sia responsabile pienamente il governo.

La letteratura calabrese si connette con la storia politica della regione, di Napoli, dell’Italia tutta. L’arte per i poeti calabresi non fu semplice diletto estetico. Infatti i poeti dialettali calabresi si impegnarono nella lotta sociale, stimolarono il Risorgimento e prepararono le basi del Romanticismo calabrese e italiano.
 
Entrando però nell’epoca romantica le cose cambiano notevolmente: la poesia dialettale assume un consapevole carattere militante, allorché svolge un’azione patriottica e di protesta contro coloro i quali volevano soffocare la libertà e opprimere la povera gente."

Ora si capisce ancora di più la storia di Francesco.
Ma, come spesso accade, la risposta ad un interrogativo fa nascere altre domande: "scrisse moltissime poesie" recita il testo, ma dove sono finite? Esistono altre pubblicazioni meno note di Francesco? Una risposta potrebbe venir fuori cercando fra le fonti alle quali ha attinto Carmine Chiodo per la sua ricerca. Rimane poi da scoprire dove è finito Francesco nel decennio fra il 1862 e il 1872. E poi: perchè Francesco ha scelto di andarsene a Castellammare? Il lavoro da compiere è ancora tanto.


EUGENIO TANO e EUGENIO LIMARZI
C'è poi una'altra di quelle famose congetture che nasce da una considerazione: Francesco ha quindi certamente combattuto nella Brigata Bruzio, composta da Marzesi e destinata all'avanguardia. A comandare questa brigata era un personaggio del quale ho scritto quasi di sfuggita definendolo "tale Carlo Tano". In realtà questi non era poi così "tale": sì trattava infatti di un pittore dilettante del quale però rimangono alcune opere sacre ancora note ai giorni nostri. Ma soprattuto si trattava del padre di, Eugenio Tano al quale insegnò i primi rudimenti della pittura e che più tardi diventò il più importante "pittore garibaldino" quasi ad unire le sue capacità artistiche con quelle di combattente.
Eugenio che era nato nel 1840 ed era quindi coetaneo di Francesco, aveva anche lui avuto un ruolo di primo piano nei moti di Rogliano (e quindi di Marzi) direttamente a contatto con Garibaldi stesso.

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EUGENIO TANO (Marzi 1840 - Firenze 1914) - Pittore e patriota italiano
Figlio di Carlo Tano, un pittore di soggetti religiosi, ricevette i primi rudimenti di pittura a Rogliano, il paese natale della madre Rosa Nicoletti. Successivamente frequentò l'Accademia di Belle Arti di Napoli e, dopo l'unità d'Italia, si perfezionò a Firenze ove rimase per il resto della sua vita svolgendo esclusivamente l'attività di pittore.
Nel 1860 Eugenio Tano partecipò all'impresa garibaldina e svolgendo un ruolo importante per la conquista dell'Italia meridionale. Il 30 agosto 1860, a Soveria Mannelli, il giovane Eugenio Tano e don Ferdinando Bianchi si recarono dalle truppe dell'esercito delle Due Sicilie comandato dal generale Ghio, un corpo di 12 mila uomini bene armati, per un'azione diplomatica che si concluse con la resa delle truppe borboniche. Il disarmo, avvenuto senza combattimento, apri a Garibaldi le porte di Napoli.

Eugenio Tano fu un eccellente ritrattista e, dopo il suo trasferimento a Firenze, un pittore di paesaggi. Ritrasse alcune famose personalità vissute nella seconda metà del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Umberto I, Margherita di Savoia, Giosuè carducci, ecc.) Partecipò a Concorsi e ad esposizioni ottenendo spesso la vittoria; fu molto stimato dal Carducci
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Ora, può essere un caso, ma Francesco scelse di chiamare suo figlio, il primo concepito dopo la rivoluzione, Eugenio.

Me lo sono tante volte chiesto da dove veniva il nome Eugenio. Nel XIX secolo a Marzi sono vissuti ben più di un centinaio di Limarzi: fra loro fioccavano i "Bruno", i "Rosario/Rosaria", i "Giuseppe", i "Maria" e tanti altri nomi ricorrenti, ma fra di essi nessun Eugenio. I nomi dei nuovi nati hanno ricalcato sempre quelli dei nonni, degli zii o di altri parenti ai quali si era particolarmente affezionati. Unica eccezione il nome "Barbara" in omaggio a Santa Barbara patrona del paese, ma che poi divenne anch'esso un nome estremamente ricorrentre.
Francesco non sfuggì di certo a questa consuetudine (almeno nei suoi anni marzesi): battezzò la primogenita Maria (Maria Laura), come sua madre (Maria Rosaria), il primogenito Raffaele come suo padre. Ma per il terzogenito scelse, stranamente, un nome nuovo: EUGENIO GIUSEPPE. Giuseppe era un suo fratello, ma Eugenio chi era?
Era un nome uscito dal nulla. Prima di lui nessuno in familglia l'ha portato, dopo di lui solo mio zio Eugenio palesemente chiamato così in onore del suo predecessore.
Ma, se non era un nome dato a caso (ci credete voi che Francesco dava nomi a caso?) a mio parere non poteva che essere il nome di Eugenio Tano, compagno di battaglia di Francesco a Marzi che poi tanta strada fece come garibaldino e come pittore.

E' un'ipostesi, certo, e va presa come tale. Non c'è nessuna prova di quello che dico. Ma, proseguendo nel ragionamento è impossibile non notare un'altra bella coincidenza: anche Eugenio LImarzi divenne un pittore affermato. E qualcosa mi dice che quell'accanimento con cui il padre Francesco ne ha sostenuto la vocazione non era casuale, ma era il desiderio di vedere il figlio ripercorrere la strada di quell'amico e personaggio che, evidentemente, tanto ha ammirato.

Il tutto può essere azzardato? Forse. Ma senza congetture non sarei arrivato sin qui.



SILVIO



UNA POSTILLA visto che abbiamo appena ragionato di nomi di battesimo:
c'è da aggiungere una piccola annotazione: evidentemente, 16 anni dopo la nascita di Eugenio, Francesco cominciava ad essere un pò più soddisfatto di quella Patria per la cui costruzione aveva lottato. Infatti, se nel 1862 a suo figlio aveva dato il nome di un rivoluzionario, nel 1878 decise di onorare l'insediamento di Umberto I nuovo Re d'Italia, chiamando Umberto l'ultimo dei suoi 7 figli.

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