“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

STORIA DI FRANCESCO E DELLA SUA DIVINA COMMEDIA

Francesco e la Divina Commedia. Arduo capitolo.
Se non altro perché il tutto porta con sé un bel po’ di interrogativi.
Abbiamo detto che Francesco è nato e cresciuto a Marzi, qui si è sposato, qui ha avuto i primi tre figli con la sua Giovanna.
Il paese di Marzi, nel corso dell'800 è stato oggetto, per così dire, di qualche “andirivieni amministrativo”: inizialmente era una semplice contrada di Rogliano, poi diventò comune con una propria autonomia amministrativa, poi di nuovo frazione di Rogliano e poi di nuovo comune. Non erano anni stabili.

Abbiamo detto che qui Francesco faceva il mestiere di “agrimensore” poi modificato nella forma, ma non nella sostanza in quello di verificatore metrico. Questo però gli doveva esser bastato per emanciparsi dal duro lavoro dei campi, unica alternativa che la sua terra gli avrebbe offerto in quegli anni.  Ma, in ogni caso, la sua occupazione, come ricorda lo storico e lessicografo italiano Luigi Accattatis nel suo Vocabolario Calabrese, non era certo vicina a quella di un letterato:

“Limarzi è nato in Marzi, ridente comune appena distante tre ore da Cosenza, il 1838, e vive modestamente con l’impiego di verificatore di pesi e misure in ritiro ….. e non so quanto possa essere stato lieto di trovarsi in continuo attrito con bilanciai, stagnai, mugnai, macellai e salumai…”

Del resto sappiamo che questa (che non poteva certo essere il risultato di studi classici) era la sua occupazione già nel 1857 quando aveva soli  19 anni (così recita il suo certificato di matrimonio).
Dopo il matrimonio un’esistenza lineare, senza apparenti sussulti: arriva subito una bimba, Maria Laura e poi  Raffaele. Dopo qualche mese di nuovo Giovanna con il pancione ed Eugenio nel suo grembo…. La famiglia cresce e “la vita è un lungo fiume tranquillo” si potrebbe dire scimmiottando il titolo di un vecchio film.
E invece no.

Nel frattempo la storia stava bussando alle porte.
Le truppe garibaldine, poco tempo prima sbarcate in Sicilia, avevano attraversato lo stretto e puntavano decisamente a Napoli combattendo per la liberazione dai Borboni dell'intera Calabria. I Borboni, dal canto loro, sapevano bene che era in questa terra che si doveva combattere la battaglia decisiva per interrompere il cammino delle truppe di liberazione e per questo motivo qui avevano concentrato grandi quantità di truppe.

Era l’anno 1860 e, improvvisamente, Rogliano, la piccola Rogliano, si ritrova al centro della rivoluzione garibaldina. E con essa i paesi vicini, compreso Marzi. Anche qui incominciano a organizzarsi le “bande”, i cosidetti “cacciatori della Sila” che in tutta la Calabria stavano costringendo alla resa le truppe del re. Il battaglione qui costituitosi, avente come base operativa Rogliano, fu detto Bruzio; la Compagnia di Marzi venne destinata all’avanguardia, il compito più duro e rischioso, e fu comandata da tale Carlo Tano.

La resa della vicina Soveria intanto apriva a Garibaldi la strada della conquista definitiva della parte continentale del Regno di Napoli. Garibaldi attraverso Carpanzano e Marzi arrivò a Rogliano il 31 agosto 1860 accolto da una popolazione festante e parlò alla folla nella stracolma piazza del paese.


STORIA DEL RISORGIMENTO A ROGLIANO - PER CHI VUOLE APPROFONDIRE (cliccare qui)


Nei mesi immediatamente successivi,  mentre la rivoluzione procedeva verso Salerno e Napoli, si arrivò giorno fissato per lo storico plebiscito (21 ottobre 1860): il quesito, sottoposto a tutti gli abitanti delle Calabrie, dell’antico regno di Napoli e di Sicilia, era il seguente: “Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale  e i suoi legittimi discendenti?”
In tutta la provincia di Cosenza il risultato a favore dei sì fu schiacciante: 108.777 contro solo 65 no. A Marzi i sì furono 325.

Nel 1860, a Marzi, mentre Maria Laura muoveva i primi passi e mamma Giovanna cullava il piccolo Raffaele in fasce, passò quindi un vero e proprio ciclone. Il ciclone di quella rivoluzione Garibaldina il cui 150° anniversario noi italiani stiamo celebrando proprio quest’anno.

Ora, non è dato sapere che influenza abbia avuto tutto questo nella vita della famiglia di Francesco, ma non credo proprio che sia scivolato via come se nulla fosse. Non è dato sapere con certezza nemmeno se il giovane Francesco faceva parte di quegli arruolati che hanno combattuto per le campagne della Sila, certamente però all’epoca aveva una età (22 anni) nella quale era impossibile defilarsi.
Certo, nulla si può fare se non supposizioni, ma è strano che, in coincidenza di quegli anni e di quei grandi tumulti Francesco, Giovanna e i loro piccolissimi figli scompaiano dalle cronache e dall’anagrafe di Marzi e ricompaiono molto tempo dopo a Castellammare di Stabia. E qui la coppia, che per 10 lunghissimi anni non ha avuto figli, improvvisamente ridiventa prolifica: in soli sei anni nasceranno in quattro: Egidio (1872), Adolfo (1873), Silvio (1876) e Umberto (1878).

Difficile non pensare che questo lasso di tempo sia da imputare ad una separazione della coppia che, non dimentichiamolo, aveva concepito tre figli nei primi quattro anni e mezzo di matrimonio. Uno stacco così lungo fra questi due periodi estremamente prolifici fa inevitabilmente riflettere.

Cosa è successo in quei 10 anni? Perché è fuori di dubbio che qualcosa è successo.
Francesco è andato in guerra? E poi: cosa lo ha portato a Castellammare? In fondo il percorso da lui intrapreso dal profondo della Calabria alle coste campane è il medesimo fatto delle truppe garibaldine.
Sono tutte domande alle quali è impossibile dare risposta, ma che è impossibile non porsi.

Ma non sono le sole.
Altrettanto repentinamente la penna di Francesco divenne ugualmente prolifica e prese a scorrere: inizialmente con la stesura della traduzione di 3 canti (1° – 14° e 21°) del Paradiso della Divina Commedia. Vennero subito pubblicati. Ne uscì un fascicoletto di 15 pagine stampato nel 1872 a Salerno dalla Tipografia Migliaccio. Ma non era più la penna di un semplice verificatore metrico.
L’esperimento ebbe infatti un grande riscontro nella stampa locale e non solo. Qui sotto riporto le recensioni scritte all’epoca dalla Gazzetta di Salerno, dal Piccolo, della Gazzetta di Napoli, del Popolo d’Italia e de La Calabria.




(cliccare sulle immagini per ingrandirle)


Francesco incoraggiato da tali e tante critiche favorevoli proseguì nella sua opera di traduzione e completò l’intera cantica del Paradiso, quella più ostica e difficile.
Il volume, che si apre proprio riportando gli articoli di cui sopra, è pubblicato nel 1874 dalle Tipografie Stabiane ed è dedicato dall’autore a Francesco De Sanctis:

A
FRANCESCO DE SANCTIS
GLORIA IMPERITURA DELLE LETTERE ITALICHE
DELL’ALIGHIERI PROFONDO SCRUTATORE
SOVRANO NELLA CRITICA

FRANCESCO LIMARZI

TREPIDANTE CONSACRA E DEDICA
QUESTO UMILE LAVORO


Francesco Saverio de Sanctis (Morra Irpina 1817 – Napoli 1883) fu scrittore, critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione e filosofo italiano. Fu il maggiore critico e storico della letteratura italiana nel XIX secolo. Questo recitano le sue biografie. Facile scoprire come il percorso della sua vita si intrecci con quella di Francesco: antiborbonico, costretto all’esilio per queste sue idee, ritorna in Italia nel 1860 con la liberazione dell’Italia meridionale e dal 1872 (stesso anno in cui Francesco pubblica i tre canti) è docente universitario a Napoli.



Risulta ancor più facile, quindi, ritenere che il De Sanctis abbia ricoperto un ruolo di primo piano nella formazione letteraria di Francesco. Perché di vera e propria formazione letteraria si tratta.
Anche a un profano come me, infatti, avendo sotto mano il volume (poi vi dico come ho potuto….) può facilmente intuire che si tratta di un’opera dalla stesura estremamente complessa. Oltre alla traduzione (che di per sé basterebbe) è presente una ricchezza di note esplicative impressionante che certifica una conoscenza vasta, accurata e fuori dal comune della Divina Commedia da parte dell'autore.
Ed ecco che arrivano altre domande.
Da dove viene questa conoscenza? Dove ha studiato Francesco? Non certo a Marzi.
Quando ha studiato? Non certo da giovane. Se qualche studio ha fatto in gioventù deve essere per forza consistito in qualcosa con orientamento tecnico: diversamente come si giustificherebbe il suo mestiere di verificatore metrico?

Francesco è uno strano antenato.

Lui stesso scrive nella parte finale della lunga prefazione alla sua opera:

“Mi è lieto poi di aggiungere che a così fatta impresa non fui spinto da voglia ambiziosa o avara, né sperai di acquistare imperituri allori, giacché la debolezza del mio ingegno giammai può meritarli. Certo peccai di soverchio ardimento nello accingermi ad un’impresa di molto superiore alle mie facoltà intellettive: confesso, che nei primi momenti io medesimo dubitava di un felice compimento, ma proseguendo il lavoro, nell’incontro dei passi malagevoli, con più fervore l’animo mio si ridestava, e l’estetica gaiezza del bello e del sublime andava sempre ravvivando la mia immaginazione. Così confortate le mie prime dubbiezze, proseguii con audacia il lavoro, convincendomi sempre che i passi più sublimi di questa Cantica, poteano di sicuro traslatarsi nel proprio idioma, forse, senza scemarne l’energia ed offuscarne il sentimento.

Fu questa idea reale, o triste illusione dei miei sensi? A voi, discreti lettori, la facile sentenza. Io quale che ella sia, con rassegnazione l’accetto, e sarò pago se questo mio lavoro potrà soltanto maggiormente animare lo studio del sacro Poema, da cui senza fallo deve attendersi la restaurazione delle italiane lettere.”

Francesco Limarzi



Non era “triste illusione dei suoi sensi”. Il tempo ha dato senza ombra di dubbio ragione a Francesco.

La sua traduzione è conservata in numerose biblioteche di tutto il mondo: Stati Uniti (The Dante collections in the Harvard College), Gran Bretagna (ad es. The Dante Collection in the library of University  College London), Germania e Argentina.

In Italia queste sono alcune delle biblioteche che custodiscono una copia:

- Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi - Bari
- Biblioteca civica - Cosenza
- Biblioteca provinciale La Magna Capitana - Foggia
- Biblioteca Medicea Laurenziana - Firenze
- Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
- Biblioteca Roberto Caracciolo - Lecce
- Biblioteca del Centro dantesco - Ravenna
- Biblioteca comunale Classense - Ravenna
- Biblioteca Giustino Fortunato - Roma
- Biblioteca Reale - Torino
- Biblioteca Civica Centrale - Torino
- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
- Biblioteca Civica di Berio - Genova 
- Biblioteca della Fondazione Marco Besso - Roma 
- Biblioteca comunale Filippo de Nobili - Catanzaro
- Biblioteca della Società Dantesca Italiana - Firenze
- Biblioteca Universitaria - Padova
- Biblioteca Statale del Monumento Nazionale di Montecassino
- Biblioteca Comunale Malatestiana - Cesena
- Biblioteca dell'Archivio di Stato di Salerno - Salerno

Copia della traduzione dei primi tre canti invece si può trovare presso:

- Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli
- Biblioteca comunale Classense - Ravenna
- Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze


E sono solamente le biblioteche che ho potuto rintracciare.

Io invece, pensate voi, la mia copia l’ho ordinata on line in un sito americano, seguendo le istruzioni di Bruno Li Marzi. Basta cliccare qui sotto:


Occorre registrasi nel sito che è serio ed efficiente. E' gestito da Google. Pagando meno di 20 dollari, arriva la fedelissima e ottimamente riprodotta copia scannerizzata dell’originale, copertina compresa. Certo, invidio un pò chi, in famiglia, ha una copia autentica (ce n'è più di uno), ma non avrei mai creduto di poterne ottenere una in questo modo. L'originale dal quale proviene la scansione appartiene all'Harvard College, al quale è stato donato il 23 ottobre 1883 dalla "Dante Society". Già dopo nove anni dalla sua pubblicazione il testo quindi aveva varcato i confini nazionali.

Qui sotto invece pubblico integralmente la già citata nota biografica di Francesco pubblicata da Luigi Accattatis nel suo "Vocabolario Calabro - Italiano" :


DOCUMENTO FORNITO DA BRUNO LI MARZI
(CLICCARE SUL TESTO PER INGRANDIRLO)
Credo che tutto questo sia andato ben otre le aspettative di Francesco, che ai giorni nostri viene citato fra i marzesi illustri e che ha in tempi recenti si è visto intitolare una via nel suo paese natale.
Dopo la pubblicazione della sua opera egli ha mantenuto viva la sua vena poetica, come testimonia il libretto pubblicato nel 1895 per le nozze del figlio Raffaele (vedi altra pagina del sito) e ha fortemente sostenuto la vena artistica dell’altro figlio Eugenio. E' stato anche nominato Cavaliere del Regno (titolo citato in vari certificati dell’anagrafe di Castellammare – vedi ad es. certificato di matrimonio pubblicato sul post di Adolfo Limarzi). Non sappiamo se questo sia avvenuto per meriti “letterari” o per altro ma, in  ogni caso, non si tratta di una onorificenza che veniva assegnata con facilità.

Per concludere mi piace riportare di nuovo un passo che, in poche righe, lo descrive splendidamente nel carattere e nell'aspetto (tratto dal solito racconto "Una serata nella villa di Morelli"):

Mentre parlano così — e il pittore si asciuga il sudore e il giornalista si liscia soddisfatto la barba fulva, si apre la porta a vetri della tipografia ed appare nero e gagliardo, il volto del verificatore metrico Limarzi: è un letterato finissimo ed ha tradotto da poco il Paradiso di Dante in dialetto calabrese. E’ alto, erculeo, rumoroso.
Fa risuonare l’accento della Sila in un saluto cordiale.
— Sapite che vinne Morelli?
Così dicendo egli blocca in uno sguardo interrogativo i due giovani, che danno in una franca risata.
— Eh! Se lo sappiamo! Arrivate in ritardo. Lo sappiamo da stamattina, e questa sera andremo anche a fargli visita.
Oh! Na visita a Morelli? Allure vegno pure eo. Il calabrese traduttor di Dante è ansioso di conoscere Morelli; anche perché ha un figlio adolescente, il quale è studente dell’istituto di Belle Arti di Napoli. Questo suo figlio ha una vera vocazione per la pittura; tutto il santo giorno non fa che disegnare a penna, a lapis su di ogni pezzo di carta che trova in casa.
Il verificatore metrico non si può contenere per la gioia; egli pur essendo più anziano del pittore e del giornalista, è di una giovialità grandissima, ama la letteratura, la pittura, la musica; tutto ciò che è arte egli coltiva con la passione di un giovane.

La sai una cosa caro bisnonno Francesco? Ho proprio l’impressione che in vita tua tu non ti sia per niente annoiato…….!


SILVIO LIMARZI



DOMENICA 6 FEBBRAIO 2011

Riprendo qui il commento lasciato dal cugino Silvio sul post "APPROFONDIMENTI": altri stimolanti spunti di riflessione e, tanto per cambiare, altri punti interrogativi:


Perchè Francesco scelse proprio la Divina Commedia?
La conoscenza diretta di De Sancts?
L'impegno politico oltre che letterario di riversare un testo sacro in italiano nella lingua della sua terra d'origine all'alba dell'Unità d'Italia, che forse anche lui materialmente aveva contribuito a creare?
Forse veramente ha fatto parte della Brigata Bruzio!
Se continui così nella tua ricerca lo riuscirai a scoprire.
La Divina Commedia era conosciuta a memoria anche da nostro nonno non a caso. Lui si portava sempre dietro una piccola edizione tascabile e la leggeva quotidianamente. Così mi diceva mio padre.



Silvio '51




MERCOLEDI' 16 FEBBRAIO 2011

LA CONOSCENZA DIRETTA DI DE SANCTIS?
Una piccola, ma importante testimonianza che potrebbe avvalorare questa ipotesi ci viene da questo stralcio dell'articolo "IL ROMANTICISMO CALABRESE" di Rina De Bella pubblicato sulla rivista on line "L'Altra Calabria". Non c'è ancora la prova della conoscenza diretta fra il critico e Francesco, ma intanto c'è la certezza di una conoscenza "indiretta":

"... un grande fervore di studi dialettali valse a tener lontano il timore che questa poesia fosse un ars minor o nuocesse al culto e al pro­gresso della letteratura nazionale: ciò che spiega, non solo l’apparire, in questo periodo, di un foltissimo gruppo di cosen­tini che poetarono in dialetto, ma anche la fioritura d’ingegni che si applicarono amorevolmente alle tradizioni di capolavori della letteratura italiana, unendo il culto dell’arte classica al culto dell’arte vernacola con la coscienza o la subcoscienza che il loro lavoro contribuiva, da una parte, a rinsanguare la lin­gua, e dall’altra a far scendere nel popolo indotto opere lette­rarie altrimenti inaccessibili.
Uno che ebbe chiara coscienza di questa funzione delle traduzioni fu Francesco Limarzi (nato a Catanzaro, ma oriundo di Marzi, in provincia di Cosenza), il quale intraprese a tradurre il Paradiso e nel 1872 pubblicò i canti I, XIV e XXI. «Animato... dal buon viso fatto a quel suo saggio dalla stampa cittadina e da illustri critici, fra i quali il De Sanctis, ebbe la mirabile costanza di proseguire arditamente nell’opera e darci la versione intera della terza cantica dell’Alighieri» nella «incolta e povera parola calabrese». La pubblicò a Castellammare nel 1874, espri­mendo, nella prefazione, «la speranza di poter rendere popolare quella parte del divino poema la più trascurata, e, a credere dell’autore, la più importante», nonché il convincimento che il dialetto calabrese, quando un giorno si volesse fissare l’unità della lingua nazionale rinsanguandola e arricchendola delle specialità dei dialetti, potrebbe fornirle una larga messe di vocaboli vivissimi e originari. Se il Giordani, il Cesari, il Puoti...gli avrebbero lanciato una scomunica, Alessandro Manzoni invece gli avrebbe stretto cordialmente la mano." (cliccare qui per l'articolo completo)

Fra le critiche positive che spinsero Francesco a proseguire nella sua opera di traduzione c'era quindi quella, eminentissima, di Francesco De Sanctis.
Quanto a quel "nato a Catanzaro, ma oriundo di Marzi" riportato dall'articolo si tratta evidentemente di un refuso ma l'ho lasciato perché, per scelta, mi sono imposto di non alterare in alcun modo le fonti alle quali le mie ricerche mi conducono.

SILVIO '68



MERCOLEDI' 2 MARZO 2011

UNA SIGNIFICATIVA (E NON ISOLATA) CITAZIONE