“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

venerdì 8 aprile 2011

MARZI - CHICAGO BIGLIETTO DI SOLA ANDATA


"C'era nebbia quando finalmente ci avvicinammo alla baia di New York, ma troppo tardi per entrarvi. Da ore si vedevano fuori piccole imbarcazioni dalle vele bianche e finalmente scorgemmo una scura striscia di terra che pian piano svaniva sotto una cortina di nebbia e di oscurità. In ogni modo era terra - era l'America! Le paure che lo sconfinato oceano aveva destato in noi si dileguarono subito, lasciando il posto ad un rassicurante sollievo. Ci aggiravamo felici sul ponte. Sottocoperta regnavano confusione e schiamazzo. Parlavano tutti all'unisono. Lentamente, però, scese su di noi il silenzio. Le nostre menti erano attraversate da un dubbio atroce: essere ammessi in America oppure essere rispediti indietro perchè indesiderati, il che significava una vita distrutta, dal momento che molti di noi erano venuti grazie ad un prestito di denaro di cui neanche il solo interesse sarebbero stati appena in grado di pagare al ritorno."



IL VIAGGIO DI LUIGI E PALMA LIMARZI

Negli anni successivi all’unificazione d'Italia il meridione si trovava in uno stato di estrema povertà e arretratezza, falcidiato da malattie ed epidemie e schiacciato da una impostazione ancora di stampo feudale. A questo si è aggiunta la crisi agraria dal 1880 in poi e, successivamente, l'aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali, il declino dei vecchi mestieri artigiani, delle industrie domestiche, la crisi della piccola proprietà e delle aziende montane, delle manifatture rurali.
Le popolazioni, letteralmente stremate dalla sommatoria di tutti questi problemi, non ebbero altra alternativa che migrare in massa.

Gli Stati Uniti, al contrario, dal 1880 aprirono le porte all'immigrazione nel pieno dell'avvio del loro sviluppo capitalistico; le navi portavano merci in Europa e ritornavano cariche di emigranti. I costi delle navi per l'America erano inferiori a quelli dei treni per il Nord Europa, per questo milioni di persone scelsero di attraversare l'Oceano. Al sud la porta principale da prendere per giocarsi l’ultima carta, quella della scoperta del “nuovo mondo”, non poteva che essere uno dei più grandi porti del mediterraneo: quello di Napoli. Da qui attraccavano e partivano a un ritmo impressionante navi di ogni genere e tipo stracariche di migliaia e migliaia di nostri connazionali.

Il 5 giugno 1901 sulla banchina di quel porto, in coda in mezzo ad altri 801 futuri compagni di viaggio, se ne stava un pensieroso LUIGI LIMARZI. Era lì per imbarcarsi sul piroscafo “Vincenzo Florio”.

Il "Vincenzo Florio" in un dipinto ad olio:
fu il primo piroscafo italiano costruito per la tratta Napoli - Genova - New York

Al suo fianco la presenza rassicurante di sua moglie Palma (che da signorina di cognome faceva Garofalo). I due erano di sicuro molto preoccupati anche perchè non erano più due ragazzini in cerca di fortuna: Luigi (nato nel 1837) doveva compiere 64 anni a luglio, Palma era solo di un anno più giovane.
Luigi, uno dei tanti Limarzi di Marzi, era nato infatti lo stesso anno di mio bisnonno Francesco. Certamente fra i due un legame di sangue (più o meno lontano) sussisteva e, in ogni caso, è sin troppo facile pensare che, coetanei e cresciuti assieme nel loro piccolo paesello, dovessero avere per forza condiviso un percorso comune.
Chissà, magari qualche giorno prima di quella mattina affollata di pensieri, Francesco e Luigi si erano anche incontrati, visto che Francesco da circa trent'anni si era stabilito poco distante, a Castellammare di Stabia.

Sui genitori di Francesco abbiamo detto nella pagina "La settima generazione", su quelli di Luigi faccio qui una piccola digressione: Luigi è nato a Marzi il 06/07/1837 primogenito di ROSARIO LIMARZI e FELICIA GAROFALO (in alcuni testi “Fenicia”). Oltre a lui la coppia ha avuto altri 6 figli, 4 dei quali morirono piccolissimi.  Rosario peraltro era il secondo matrimonio dopo che il primo, sfortunatissimo, si era concluso con la morte della moglie ROSA DE VUONO avvenuta a soli 24 anni. Come se non bastasse oltretutto, la coppia aveva dovuto sopportare la perdita degli unici due figli in fasce: Isabella (morta a soli 3 mesi) e Giuseppe (morto a 9 mesi).
Genitori di Rosario e quindi nonni di Luigi erano FRANCESCO LIMARZI (1775 – 1820) e MARIA CALABRESE.

C’è poi questo ricorrere del nome "Francesco" nella vita di Luigi che si presta a congetture: era il nome del nonno, è vero, ma lo stesso Luigi non l'aveva mai conosciuto perchè era morto ben prima che lui nascesse. E allora perchè a sua volta battezzò ben quattro dei suoi figli (una femmina e tre maschi) con quel medesimo nome?
Perchè vi era così affezionato?
Forse (mia ipotesi forse un po' troppo avventata) in omaggio al cugino?
Questa ostinata ripetitività, è peraltro anche il frutto del destino, del fatto cioè che purtroppo tutti e tre i maschi di cui si parla morirono bambini.
Stessa triste sorte capitò, oltretutto, anche ad altri due figli di Luigi e Palma: Carmine e Antonio.

Già, "ostinata ripetitività".
Luigi doveva essere davvero un uomo ostinato. Sennò dove avrebbe trovato la forza per partire?  Se non li avete contati ve lo dico io: sono 11 le morti che lo hanno colpito: 6 dei suoi fratelli e 5 dei suoi figli. Nessuno di loro è arrivato a compiere il decimo anno di età. Da qui si capisce che l’arretratezza del meridione dell'epoca, quella di cui si parlava in apertura, non è un concetto astratto che si ritrova sui libri, ma un flagello che colpiva ferocemete i cuori della gente.
A questo padre così bersagliato dalla sorte, quindi, non rimanevano che due figlie femmine (oltre alla già citata Francesca, sposa di Carmine Aiello, c’era Carmela sposa di Raffaele Aiello) e un unico figlio maschio: Giuseppe nato nel 1869. Ma era un padre che, nonostante tutto, era lì e non si era arreso.

MARZI 1881 - ASSALTO AL MUNICIPIO
Arrendersi, del resto, non faceva parte del carattere di Luigi. Lo si era già capito qualche anno prima, nel 1881: fu allora che i maggiorenti marzesi pensarono bene di istituire l'ennesima tassa gravante sulle già provate popolazioni: la tassa sul focatico. Questa tassa, oltretutto, non è che rispecchiasse propriamente i principi della cosiddetta equità fiscale, visto che andava a tassare semplicemente il "focolare" inteso come entità famigliare, indipendentemente dal reddito della stessa. Risulta sin troppo chiaro quindi che, ancora una volta, erano i più poveri a essere colpiti maggiormente.
Fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Il carattere non proprio conciliante degli abitanti di Marzi fece il resto e andò a finire che, nella sera del 13 febbraio, ci fu un ammutinamento generale che sfociò nella occupazione del municipio durante un consiglio comunale. Qui una turba di gente finì con l'inveire (non solo verbalmente) contro Sindaco, consiglieri, il medico condotto, la maestra e il maestro (il concetto di "autorità" nel 1881 evidentemente era piuttosto distante da quello di oggi..). Il Sindaco non fece a tempo ad intimare lo sgombero dell'aula che venne preso per il collo da un cittadino marzese, Francesco Caputo.
Fra quelli con gli animi più accesi c'era il nostro Luigi che si ritrovò fatalmente con una denuncia che sfociò in un processo alla corte di Cosenza. Assieme a lui, davanti al giudice, vennero chiamati alcuni suoi compagni di  "assalto" Domenico e Francesco Garofalo. Tutti dovevano rendere conto del proprio operato che in effetti non era stato propriamente ortodosso. Per fortuna, vuoi per la clemenza del giudice, vuoi per la bravura dell'avvocato Nicoletti che ne assunse le difese, vuoi soprattutto per il fatto che effettivamente, non vi furono significativi atti di violenza, non vi furono condanne. (fonte: PAESE INQUIETO di Luigi Costanzo - Orizzonti Meridionali Editore)

Anche questo episodio ci illumina sul fatto che Luigi non era tipo da stare con le mani in mano ad aspettare che il destino facesse il suo corso.

Ma tutto questo, se da un lato ci spiega cosa quest'uomo voleva lasciarsi alle spalle, dall'altro non ci dice dov'era diretto esattamente. La nave partiva per New York, certo, ma il "nuovo mondo" era ben più grande.
E qui ci vengono in soccorso le carte d'imbarco (ove bisognava dichiarare la destinazione finale e il nominativo di chi si andava a raggiungere in America). Infatti qui troviamo appuntata (di fianco a tutti i nomi che abbiamo elencato) la loro meta: Chicago.

Ma perchè proprio Chicago?
Anche questo sta scritto su quelle carte. Per inseguire cioè un unico, fondamentale, obiettivo: riabbracciare il figlio Giuseppe ("to join son Giuseppe").
Erano perciò dedicati a lui molti dei mille pensieri che hanno accompagnato la nostra coppia durante l'attesa della nave. Ed era quello il vero motivo per cui, molto più che adulti, i due stavano per affrontare l’oceano: volevano raggiungere quel loro figlio che era già da tempo in America in quella città dallo strano nome.
Giuseppe, evidentemente, unico giovane uomo di famiglia si era preso la briga, seguendo uno schema che si ripete anche delle migrazioni di oggi, di andare lui “in avanscoperta” a scoprire se quel nuovo mondo potesse anche essere un mondo dove vivere.

Evidentemente giudicò che lo fosse.
E doveva essere stato molto convincente perché su quella banchina del porto, come appunto si legge dai documenti di bordo del piroscafo, non c'erano solo i suoi genitori, ma c’era anche Maria Tucci, sua promessa sposa, e c'erano i due fratelli di lei (i suoi futuri cognati Carmine e Francesco Tucci).  Ma non basta: c’era il marito di sua sorella (Carmela) Raffaele Aiello assieme a quel Domenico Garofalo suo compagno nell' "assalto al municipio" del 1881.

NOTA
Di Raffaele Aiello sappiamo però che fece ritorno in Calabria tanto che, assieme alla sua Carmela Limarzi (o Li Marzi che dir si voglia), fece crescere una famiglia che ancora oggi ha le sue propaggini a Marzi. Raffaele e Carmela infatti sono i bisnonni di Fabrizio Perri, autore e storico marzese più volte citato in questo sito che mi ha fornito anche una foto delle due figlie di Luigi, le sorelle Carmela e Francesca.


Francesca e Carmela Li Marzi
(foto Fabrizio Perri)


Questa perciò, ora si capisce, non è altro che una delle tante storie di mare e di emigrazione, di sogni e di valigie di cartone.
Niente di più attuale.
In questi giorni, 110 anni dopo, migliaia di Tunisini e di Libici si stanno ammassando a Lampedusa fuggendo da guerre, miserie e povertà. E, purtroppo, elicotteri e motovedette perlustrano il mare di Sicilia in cerca di cadaveri di uomini che, sperando anche loro in un nuovo mondo, sono tragicamente affondati a bordo di un barcone.
Oggi il miraggio siamo noi, allora il miraggio era “l’America”.  Lo stesso miraggio che, a suo tempo ha portato via dall’Italia anche tanti membri della famiglia alla quale apparteniamo (Luigi non è stato certo l’unico).

E anche l’America, per i milioni di immigrati di tutto il mondo, aveva la sua isola che fungeva da porta d’entrata quasi obbligata. La Lampedusa d’oltreoceano si chiamava Ellis Island: da qui sono passati Luigi, Palma e tutti gli altri loro compagni di traversata.

ELLIS ISLAND è un isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stata la maggiore frontiera d'ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti.

Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi, che all'arrivo venivano sottoposti a controlli sanitari e burocratici durissimi. Ciò le valse l’appellativo di “Isola delle Lacrime”.
I nuovi arrivati dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. Medici del Servizio Immigrazione controllavano ciascun emigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali).
Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan.

I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. "I vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano" rammentava il vademecum destinato ai nuovi venuti. Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza.

Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 di persone approdate.

Ellis Island è oggi un immenso museo dedicato a tutte quelle persone che, come Luigi, Palma e tanti altri che portavano il nostro cognome, vi approdarono in bilico fra la fuga, la disperazione e il sogno. Dal  curatissimo sito del museo (Ellisisland.org) ho potuto estrapolare le carte di imbarco alle quali mi riferisco e tante altre informazioni. Attraverso di esso ho avuto modo di riflettere anche su tante cose che stanno succedendo ai giorni nostri soprattutto quando ho letto questo trafiletto:

“Nel Museo dell'Emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l'Italia, nella disperazione si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.”

La "Vincenzo Florio” attraccò a New York il 21/06/1901. 

Io non so quanto faticoso fosse stato viaggio di Luigi, Palma e i suoi compagni, non so nemmeno quanto fossero smarriti i loro sguardi quando, dopo 16 giorni di navigazione, sono sbarcati stracarichi dei loro bagagli. Ma posso immaginarlo. Così come posso solo immaginare la trepidazione con la quale affrontarono i controlli e le visite mediche. Di sicuro però so una cosa: che riuscirono nel loro intento e che Ellis Island fu solo una tappa di passaggio, breve per quanto indimenticabile, nella loro vita.  
A Chicago non solo arrivarono, ma lì rimasero per sempre. E sono certo che Giuseppe quell’estate 1901 se la sarà ricordata per il resto dei suoi giorni visto che fu l’estate nella quale, in un colpo solo, riabbracciò padre, madre, cognati e... sua moglie. Infatti, neanche il tempo di farle disfare i bagagli i e Giuseppe sposò la sua Maria nella "Italian Mission Church" della città. Non c'era un istante da perdere.   Ed è da lì in poi che la storia dei Limarzi a Chicago è veramente cominciata, è proseguita e sta proseguendo sino ai giorni nostri nell’intera contea di Cook, Illinois, alla quale Chicago appartiene.


Ma, matrimonio a parte… da dove è cominciata? Da dove comincia la vita di un immigrato? Da un lavoro, è ovvio.
Giuseppe se lo sarà chiesto di sicuro: “cosa diavolo può fare un calabrese a Chicago per guadagnarsi da vivere onestamente?” E trovò la sua risposta: il barbiere!
Poco originale ma efficace.
Del resto, in qualsiasi film americano se il protagonista decide di farsi barba e capelli, finisce inevitabilmente da un barbiere italiano il quale comunque svolge tale attività in maniera assolutamente secondaria. Il suo salone diventa infatti una via di mezzo fra un punto di ritrovo e un luogo dove si ha la pretesa di discutere dei massimi sistemi e dove si dispensano, compresi nel prezzo di una rasatura, consigli e strategie di vita (un esempio? Clint Eastwood e il suo amico barbiere Martin in “Gran Torino”).
Luoghi comuni? Certamente! Ma nessun luogo comune nasce per caso.
E nessun lavoro onesto, per quanto umile si può barattare con qualcosa di meno onesto.

Un lavoro quindi e l'intera sua famiglia al fianco.
Giuseppe deve aver capito subito di avere finalmente fra le mani tutto quello che gli serviva. Gli mancava solo la parte più facile: avere dei figli con la sua Maria. Infatti giusto il tempo di sistemarsi, di imparare quattro frasi in inglese e nasce, il 26/11/1903, il primogenito dal nome scontato: LUIGI ROSARIO (il padre e il nonno di Giuseppe). La coppia però  doveva, con ogni probabilità, fare ancora un po’ di pratica con l’anagrafe del luogo in quanto, come risulta dall’atto di nascita, l’italianità dei nomi della famiglia era completamente scomparsa:



Posso capire per il nome del nuovo nato (Louis Rosary), ma Joe e Mary al posto di Giuseppe e Maria era decisamente un po’ troppo.
In occasione della nascita degli altri loro figli, capita l’antifona, marito e moglie rimisero le cose a posto e diedero loro gli italianissimi nomi di ROSARIO RODOLFO (1905), GIUSEPPE SERAFINO RODOLFO (1907), ROSA (1910) VIRGINIA (1912) e MARGHERITA (1914). Unico incidente (un classico anche in Italia per la verità) l’errata registrazione di Giuseppe Serafino Rodolfo nella quale il cognome viene scritto staccato e modificato in Li Marzi.



E, per inciso, a quanto ne so, l'ecatombe di neonati e adolescenti che aveva costellato la vita di Giuseppe era finalmente alle spalle: nessuno morì in fasce e nemmeno a cinque o dieci anni. In particolare Luois morì a 88 anni, Giuseppe (inesorabilmente diventato Joseph) a 93, Rosa a 77, Virginia a 92…. Era il segno che la qualità della vita era cambiata. E proprio questo fu il primo risultato della traversata, assicurare un futuro ai propri figli. Non si sa se migliore o peggiore è vero, ma almeno c'era un futuro. E con esso la possibilità di crescere e di giocarsi le proprie carte.

E qualcuno le sue carte se le giocò bene: 


LOUIS R. LIMARZI (Chicago 26/11/1903 – Chicago 12/04/1991)
Medico e ricercatore

Anche con i soli guadagni da barbiere Giuseppe riuscì a far studiare il primogenito Louis che, laureatosi in medicina all’Università dell’Illinois diventò un luminare a livello mondiale nell’ambito della cura delle malattie del sangue ed uno dei pionieri nella cura delle leucemie. La sua carriera durò più di 50 anni. A lungo docente emerito della University Of Illinois – School of Medicine, sulle sue intuizioni si basano ancora alcuni degli attuali principi di cura in questo campo. Fu uno dei primi ricercatori a suggerire l’uso della chemioterapia abbinata a farmaci specifici per il trattamento di questa malattia.

Autore di oltre 160 fra articoli e testi di ematologia, compresi alcuni importanti lavori sull’analisi del midollo dei bambini disegnò personalmente uno dei primi strumenti medici per estrarre il midollo osseo che era ancora in uso all’epoca del testo sotto riportato (1991).




Si tratta dell’articolo, molto più che un semplice necrologio, che gli ha dedicato il Chicago Tribune in occasione della sua morte il 19 aprile 1991 e che ho appena riassunto sommariamente

Louis sposò Ethel (19/06/1905 – 02/04/1993) dalla quale ebbe due figlie Cynthia (1947 – 2006) e Roberta (1943 – vivente).




JOSEPH LI MARZI (Chicago 15/09/1907 – New York 4/3/2000)
Artista

Giuseppe Serafino Rodolfo Limarzi invece diventò Joseph Li Marzi. Per il cognome erroneamente staccato avrebbe dovuto ringraziare il distratto impiegato dell’anagrafe della città di Chicago, mentre per il nome di battesimo invece si sarà presto rassegnato all’americanissima inesorabile abitudine e a tradurre in inglese tutti i nomi propri stranieri.  

Joseph frequentò School of the Art Institute of Chicago. Insegnò e diventò un pittore affermato in tutti gli Stati Uniti dove sono disseminate decine di sue opere che tutt’ora, a vent’anni dalla sua morte hanno un loro mercato.

Eccone due fra quelle che sono riuscito a rintracciare:


Joseph LiMarzi - Woman With Cat



Joseph LiMarzi - Californian Impressionist Scene
Le sue principali mostre citate nei cataloghi sono quelle presso:
- Art Institute of Chicago
- Pennsylvania Academy of the Fine Arts
- Salons of America

Della sua morte il 4 marzo 2000 abbiamo notizia dalla pagina dei necrologi del New York Times





Degli altri fratelli so ben poco. Qualche traccia di Virginia e niente più. Ma poco importa. Quello che importa e che più mi è piaciuto nel ricostruire questa vecchia storia di famiglia e stato scoprire che Luigi, Giuseppe e tutti quelli del Vincenzo Florio siano riusciti a vincere questa loro battaglia contro il destino. Certo, io non so e non posso sapere se le loro siano sono state vite felici e soprattutto se e quante altre battaglie hanno vinto o perso. Ma almeno quella di Ellis Island so come è andata a finire.



SILVIO LIMARZI






GENEALOGIA: La famiglia di Luigi



GENERAZIONE 1
DOMENICO  LIMARZI – CATERINA GAROFALO


GENERAZIONE 2
FRANCESCO LIMARZI (1775- 1820)  – MARIA CALABRESE


GENERAZIONE 3
(gli unici due figli certi di Francesco e Maria)

1) PALMA LIMARZI (1798 – 1819)
2) ROSARIO LIMARZI (? – 1866)

GENERAZIONE 4 e successive – RAMO DI ROSARIO

ROSARIO LIMARZI

Sposa in prime nozze il 16/07/1829 Rosa de Vuono (1809 - 1833) dalla quale ha 2 figli

1 - ISABELLA (1830 – 1830)
2 - GIUSEPPE (1831 – 1832)

Nel 1833 si chiude con la morte di Rosa il primo tristissimo matrimonio di Rosario (vedovo dopo 4 anni con due figli deceduti in fasce). Un po’ di fortuna in  più la ebbe con il secondo: sposò infatti Fenicia o Fenice Garofalo (a seconda degli atti) dalla quale ebbe altri 7 figli:

3 - LUIGI (1837 - ?)
Sposò Palma Garofalo ed ebbe 8 figli:

- FRANCESCA (1857 - 1912) che sposerà Carmine Aiello (figli Antonio – Giuseppe e Rosario)
- FRANCESCO (1861 - 1866)
- FRANCESCO (1866 - ?)
- CARMINE (1868 – 1868)
- GIUSEPPE MARIA (1869 - ?) che sposa Maria Tucci
- FRANCESCO (1876 – 1882)
- ANTONIO (1880 – 1887)
- CARMELA (1880 - 1964) che sposerà Raffaele Aiello

QUI CI SONO TUTTI I PROTAGONISTI DELLA STORIA….


ALTRI FRATELLI DI LUIGI:

4 - PALMA ( 1840 – 1840)
5 - CARMINE (1841 – 1845)
6 - MARIA (1844 -1845)
7 - MARIA (1847 - ?)
8 - CARMINE (1852 – 1859)
9 - ROSARIO (1857 - ?)

.

2 commenti:

  1. Ho trovato 3 piccoli quadretti di E. Limarzi datati 1882. Soggetto: "volti caratteristici a inchiostro".
    E' stato un ritrovamento fortuito. Transitando presso un cassonetto della spazzatura ho sentito l'impulso di fermarmi. Dal coperchio aperto avvisai il luccichio, o meglio: l'occhieggiamento di alcuni vetri che mi hanno indotto a curiosare... e poi... la scoperta dei 3 quadretti abbandonati alla distruzione. ...Era il richiamo di E. Limarzi?

    RispondiElimina
  2. Buongiorno!
    Grazie per avere lasciato questo commento. Non sa quanto mi ha fatto sorridere leggerlo.
    Lei si è imbattuto in delle opere giovanili del mio prozio Eugenio che poi divenne affermato pittore in argentina. Non so se ha avuto modo di leggere la sua biografia in questo sito, in ogni caso questo è il link:

    http://famiglialimarzi.blogspot.it/2011/01/eugenio-giuseppe-limarzi.html

    Nel 1882 Eugenio aveva 20 anni ed era un pittore ancora acerbo, come dimostra questo racconto del suo incontro (avvenuto 3 anni dopo) con il suo futuro mentore, Il pittore Domenico Morelli:

    http://www.famiglialimarzi.blogspot.it/p/un-pezzo-della-nostra-storia-racconta.html

    Evidentemente, come dice lei, era destino che quei quadretti non andassero persi.
    Non le nascondo che mi piacerebbe molto vederli anche solo in foto (la mia mail è silviolimarzi@virgilio.it). Se può mi farebbe felice, sennò non fa nulla, mi accontento del suo prezioso racconto.

    Un saluto

    Silvio Limarzi

    RispondiElimina