“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

sabato 3 dicembre 2011

GIOVANNA ALTOMARE LIMARZI

(Rogliano, 20/10/1837 - Castellammare di Stabia, 28/04/1904)
Giovanna Concetta Altomare, sposa di Francesco Limarzi, era la mia bisnonna.
Le sue origini erano di Rogliano Calabro paese la cui vita politica, sociale e amministrativa, a causa di una stretta vicinanza geografica,  si è sempre intrecciata con quella di Marzi. Qui nacque qualche mese dopo Francesco e precisamente il 20/10/1837.

Suo padre Luigi, orefice, era venuto a Rogliano da San Sisto Dei Valdesi, e qui nel 1835 prese in moglie Elisabetta Mazzei secondogenita di una famiglia di benestanti del luogo. Elisabetta il giorno del matrimonio doveva ancora compiere i suoi sedici anni.
Un orafo, una benestante e una sposa bambina: difficile allontanare, il sospetto di trovarci di fronte ad uno dei tanti matrimoni combinati che, all'epoca, erano diffusissimi fra le famiglie più abbienti di quelle zone che se ne stavano sempre impegnate alla ricerca di un "buon partito" per la propria prole. Ciò doveva servire a preservare nel tempo e, se possibile, a moltiplicare le ricchezze di famiglia.
Di sicuro c'è che Elisabetta era una giovane poco più che adolescente quando partorì la nostra Giovanna, la quale oltretutto non era nemmeno la sua primogenita. L'anno prima, infatti, era nato Antonio, di lei fratello maggiore; successivamente invece arrivarono Giovanni, Marianna e Tommaso.

Pochi mesi dopo la nascita di Tommaso però, quella madre che aveva bruciato tutte le tappe della vita se ne andò prematuramente. Accadde a soli 25 anni, nel febbraio del 1844. Giovanna ancora bambina rimase quindi senza mamma e così fu per i suoi quattro piccoli fratelli. Chi si occupò di crescerli è difficile sapere: ho cercato riscontro all'ipotesi che Luigi si fosse risposato, ma non l'ho trovato.

NOTA: non ci sarebbe stato da stupirsi della cosa considerato che, all'epoca, accadeva spesso che i giovani uomini rimasti vedovi si risposassero velocemente per poter dare al più presto una madre ai giovani figli rimasti. Ma così pare non sia accaduto.
L'unica cosa che mi fa un po' pensare è che nel certificato di morte di Giovanna verrà poi indicata come sua madre "Bettina Nicoletti". Errore grave per un anagrafe, ma soprattutto: chi era Bettina Nicoletti? Poteva essere la sua madre "adottiva"? Nessuna traccia nemmeno di questo.

Comunque, al di là del fatto che questo fosse o meno combinato, la famiglia che nacque dal matrimonio di Luigi ed Elisabetta ebbe il sicuro merito di assicurare a Giovanna e ai suoi fratelli una giovinezza, almeno sotto il profilo economico, agiata e privilegiata rispetto a tanti loro conterranei. Quanto felice, però, non è dato sapere.

Fatto sta che quella bambina, una volta divenuta giovane donna, conobbe un ragazzone marzese fresco dei suoi studi da perito geometra. Si chiamava Francesco (Francesco Limarzi per l'appunto) e faceva il verificatore metrico nel circondario. Suo padre Raffaele era ben stimato e conosciuto a Marzi e in più lui, nonostante l'età, svolgeva di già un mestiere ambito e considerato. Questo deve essere stato determinante affinché il padre di Giovanna acconsentìsse al matrimonio. Luigi Altomare accompagnò infatti di buon grado la sua figliola sull'altare della Chiesa di San Pietro a Rogliano in quel fatidico giorno in cui Francesco la prese in sposa. Era una domenica d'estate, il 19 luglio 1857; testimoni del rito furono "don" Fortunato Sicilia e "don" Nicola Gabrielli di Rogliano.

(dall'Archivio di Stato di Cosenza)


I due ragazzi sull'altare avevano tutti e due vent'anni ed una vita davanti da affrontare assieme. Francesco si portò la sua Giovanna a Marzi e qui andarono a vivere nella casa di Contrada Amarella. La stessa casa in cui videro la luce i loro primi tre figli: Maria Laura (1858), Raffaele (1860) e Giuseppe Eugenio (1862).

Il resto è storia già raccontata perché, di fatto è quella di Francesco (vedi pagina "Storia di Francesco e della sua Divina Commedia"): la storia, cioè, di una moglie che ha seguito il proprio marito sino alla fine dei suoi giorni. Probabilmente il caos di quegli anni (che portarono Francesco a combattere per l'Unità d'Italia e chissà cos'altro) determinarono una temporanea separazione della coppia, ma i due si si ricongiunsero e ricostruirono la loro vita assieme nella nuova terra di Castellammare di Stabia.
Qui Giovanna partorì non più ragazza , ma donna matura, altri quattro maschi: Egidio (1872), Adolfo (1873), Silvio (1876) e Umberto (1878). E qui morì, a 67 anni, il 28/04/1904.



SILVIO LIMARZI




UNA CURIOSITA':

L'atto di nascita di Giovanna a Rogliano reca la firma di un testimone particolare: Vincenzo Gallo detto "U Chitarraru" in quanto appartenente ad una dinastia di fabbricanti di chitarre (anche questo era un mestiere nella Calabria dell'800..).
Il nome di Vincenzo Gallo è spessissimo accostato e citato assieme a Francesco Limarzi. Entrambi poeti, entrambi considerati espressione del "vero" dialetto calabrese ed entrambi alle prese con la traduzione in calabrese della Divina Commedia. Se Francesco infatti tradusse l'intera cantica del Paradiso, Vincenzo Gallo fece lo stesso con sei canti dell'Inferno.
Insomma... la Divina Commedia era già impressa nel destino di Giovanna sin dal giorno della nascita!

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giovedì 10 novembre 2011

L'INIZIO DELLA POESIA

E' il gennaio 1872. Francesco finalmente ricompare.
L'avevamo lasciato nel pieno dei tumultuosi eventi a cavallo dell'Unità d'Italia e poi, per dieci lunghi anni, più nulla.
Una miriade di poeti calabresi in questo decennio hanno percorso la strada che li ha portati a Napoli capitanati da quel Bonaventura Zumbini che, qualche anno dopo, ritroveremo con una copia dell'opera di Francesco fra le mani. (clicca qui per approfondire)
Ma, prima di arrivare alla traduzione dell'intero Paradiso Dantesco, lo stesso Francesco si cimentò, in punta di piedi e con un certo timore reverenziale,  nella traduzione di tre canti. Quasi un esperimento.
E fu il grande riscontro di critica che ottenne con questa pubblicazione che lo spinse ad andare oltre.




Ora questo libretto, edito a Salerno, è estremamente difficile da rintracciare e molto più raro della famigerata edizione completa del 1874. 



Qui ritroviamo condensati, nell'introduzione dell'autore, l'amore per la Calabria e la volontà di condividere con l'intera Italia da poco unita la ricchezza del suo dialetto. Finito il tempo dei fucili in tanti avevano deciso che era il momento di usare la cultura per unificare la Nazione.



Dove sia stato e cosa abbia fatto Francesco in quei dieci anni che vanno dal 1862 al 1872 (da lui stesso citati in questo testo) rimane arduo da scoprire. Di sicuro sappiamo che, qualsiasi cosa sia accaduta, lo ha trasformato in un poeta.







lunedì 29 agosto 2011

CONSIDERAZIONI SUL NOSTRO COGNOME

Limarzi o Li Marzi?

Stemma del comune di Marzi

A nessuno sarà sfuggito che anche in questo blog si è riproposta con insistenza l'ennesima diatriba che ha costellato (e costellerà sempre) la vita di chi porta il nostro cognome. 
Ma Limarzi è scritto attaccato o staccato?
E' la domanda che arriva immediata quando dobbiamo dettare il nostro cognome a qualcuno.
Non si tratta di un semplice cavillare sull'ortografia e nemmeno di metterci a dare la caccia a quali e quanti errori hanno compiuto gli impiegati delle anagrafi con le quali i nostri avi hanno avuto a che fare negli ultimi 300 anni. Fosse per questo non varrebbe la pena di applicarsi troppo e, magari, la potremmo risolvere come molti Li Marzi americani che hanno scelto una via mediana attaccando il cognome e lasciando contemporaneamente due lettere maiuscole (LiMarzi).

L'argomento è di tutt'altro spessore e riguarda le origini del nostro cognome e come esso si è modificato con il modificarsi della storia della nostra famiglia.

Proviamo innanzitutto a fissare qualche punto fermo:

ORIGINI COMUNI - Partiamo da una certezza assoluta: l'origine delle due varianti del cognome  è la medesima, non esistono due distinte famiglie con due diversi cognomi. Chiamarsi Li Marzi, quindi, di per sé non certifica l'appartenenza a una origine diversa rispetto a quelli che si chiamano Limarzi;

1600 - nel 1600 fino a ben oltre la metà del '700 il "Li" era considerato un semplice accessorio. A volte addirittura (in particolar modo nei testi scritti in latino) venivamo chiamati semplicemente "Marzi", oppure "li Marzi" utilizzando la "l" minuscola quasi a voler marcare ancora di più l'appartenenza al nostro paese di origine;

FINE 1700 - in questo secolo incomincia a consolidarsi il "Li" con la lettera maiuscola ed il cognome era staccato per tutti. Non esiste traccia in quelle epoche di nessuno con il cognome attaccato. Nel censimento del 1753 (il Catasto Onciario) tuttavia compariamo ancora come "Marzi";

DAL 1806 A FINE '800 - con l'arrivo degli occupanti francesi, nel 1806, e con la contemporanea istituzione da parte loro delle anagrafi presso i comuni, si assiste al fenomeno inverso. Nell'anagrafe di Marzi in particolare, a partire dai primi dell'800 sino alla fine del secolo, non esiste alcun "Li Marzi" scritto staccato. E questo risulta anche in tutte le firme autografe in calce a questi atti.

DA FINE '800 A FINE '900 - da fine '800 sino ad oggi il cognome ha ricominciato a staccarsi più che altro per errori nelle anagrafi, salvo forse il caso del ramo di Bruno (secondo una sua ipotesi che approfondiremo poi) nel quale si può pensare anche ad una volontà espressa di ritorno alle origini (vedi anche il suo intervento fra i commenti di questo post).


2000 - I GIORNI NOSTRI 
- il mio ramo è riuscito a preservare l'uniformità del cognome, scritto unito, in tutti i quasi 100 Limarzi discendenti da Raffaele (nato nel 1805)  fino agli ultimi arrivati nel 2015. Eppure il padre di Raffaele, Pasquale, di chiamava Li Marzi... Il ramo di Bruno ha recuperato in tutti i suoi componenti il cognome originale scritto staccato.


MA CHE COSA E' SUCCESSO ALL'ARRIVO DEI FRANCESI?

Scorrendo questa cronologia risulta comunque chiaro che qualcosa ad un certo punto deve essere successo. Ed è successo in tutta evidenza, in coincidenza con l’arrivo dei francesi.
Da qui partono tanti ragionamenti anche se nulla di certo si può dire. Nulla se non che un cognome, o meglio il cognome di un’intera stirpe, non si modifica a caso o per convenzione.
A testimonianza del fatto che il problema non sono certo l’unico ad essermelo posto, c’è da dire che l’idea che il nostro cognome fosse mutato in conseguenza di un evento più o meno tragico circola da sempre in famiglia. Il tutto fra l’altro in diversi rami della stessa senza che questi avessero comunicato fra loro. E’ evidente che quest’ultima considerazione non faccia altro che avvalorare l’idea stessa.


IPOTESI DI ELEONORA
A casa di Eleonora si tramanda da sempre il fatto che il nostro cognome fosse mutato da Li Marzi a Limarzi per sfuggire ad una non meglio precisata persecuzione dei Borboni.
Ma perché i Borboni avrebbero perseguitato la famiglia? In fondo i nostri avi Pasquale e Stefano si sono fatti persino giustiziare dai Francesi che erano in lotta contro di loro!
L’esperienza però insegna che in tutte le cose tramandate, anche solo oralmente, c’è sempre un fondo di verità, magri distorta o alterata, ma c’è sempre.
Potrebbe essere che i persecutori fossero i Francesi e non i Borboni.


IPOTESI DI BRUNO
Secondo Bruno i Li Marzi erano di religione ebraica, religione che professavano liberamente nel paese e per la quale erano conosciuti. Può essere successo che per questo motivo fossero stati malvisti dai potenti di turno e che questi avessero voluto, unendo il cognome, sradicare un po’ la famiglia dal luogo di appartenenza. “Li” Marzi in calabrese sancisce inequivocabilmente un’appartenenza a un luogo (in italiano “di” Marzi). Unire il cognome rende, senza dubbio, meno evidente questa appartenenza.
Questa tesi, paradossalmente, potrebbe essere non in contrasto con quella riportata da Eleonora.  Una persecuzione da parte dei Francesi infatti non sarebbe stata plausibile in considerazione del fatto che fu proprio la Rivoluzione Francese ad accordare, in tutta Europa, maggiore libertà e tolleranza agli Ebrei. Ritornerebbe d’attualità la tesi di una persecuzione borbonica anche se, a quanto ne so, nemmeno i Borboni ebbero atteggiamenti particolarmente ostili nei confronti di chi professava questa religione.
Tutti gli avi di Bruno, comunque, erano dei Limarzi, compreso suo padre Vincenzo Limarzi nato nel 1903. Poi il cognome è tornato a staccarsi. La cosa però potrebbe non essere casuale, ma piuttosto sembrerebbe frutto del desiderio di ristabilire in famiglia la verità storica del cognome.


IPOTESI DI SILVIO ‘51
Alla fine l’ipotesi che io accredito di più è quella che mi ha riportato mio cugino Silvio che, fra le storie ascoltate in famiglia in passato, ha ripescato quella della condanna a morte di un fantomatico nostro avo.
La cosa mi ha stupito davvero tantissimo anche perché di fatto vuole dire che la storia della triste fine di Pasquale non si era persa nel tempo, ma è stata tramandato verbalmente per 200 anni, sino ad arrivare alle sue orecchie nei racconti di zio Armando e di quelli, coloritissimi del caro zio Eugenio.
Entrambi sostenevano che questo nostro avo fosse riuscito a scampare alla condanna a morte, ma che in conseguenza della stessa fosse stato costretto cambiarsi il cognome da Li Marzi a Limarzi.
Purtroppo non solo la trascrizione della sentenza, ma soprattutto l’immediatamente successivo certificato di morte ci raccontano che Pasquale non riuscì a scampare al proprio destino, ma è estremamente plausibile che il cambio di cognome fosse dovuto a tale accadimento. A favore di questa tesi depongono tre fattori:

- l’assoluta coincidenza temporale. Il nostro cognome infatti è mutato fra il 1806 e il 1807;

- il fatto che le colpe del condannato venissero poi fatte ricadere anche sulla sua famiglia di provenienza e addirittura, qualora venissero provate complicità e connivenze, sul paese di provenienza. in questo contesto l'imporre a tutta una stirpe di mutare il cognome è ipotesi plausibile;

- il fatto che esiste un ramo della famiglia che si spostò, in un’epoca che non sono ancora riuscito a ricostruire, nella vicina Montalto Uffugo. Ebbene qui il cognome è sempre rimasto immutato in Li Marzi. Questo ramo quindi, non essendo più di Marzi si sarebbe salvato dalla persecuzione francese.



LO SVILUPPO DI QUESTE IPOTESI CONTINUA NEI COMMENTI 
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martedì 23 agosto 2011

NOVITA' DALLA CALABRIA

Come previsto dal mio viaggio a Marzi ho riportato indietro un sacco di scoperte nuove sulle origini del ramo della famiglia al quale appartengo e al quale appartiene Francesco. Inevitabilmente, in conseguenza di questo, diversi post di questo sito vanno aggiornati o addirittura eliminati perché da considerare superati. Lo farò piano piano. Nel frattempo cerco di riepilogare per sommi capi le cose salienti riservandomi di approfondire le quelle, fra di esse, di maggiore importanza.

1) PASQUALE LI MARZI (Marzi 1769 - Cosenza 19/06/1807)
La lunga caccia a ritroso alla ricerca dei nostri avi ha finalmente fatto un altro passo indietro nel tempo e si è spinta sino al 1769.

Sino ad ora ero arrivato a Raffaele, il padre di Francesco, ma non avevo idea (a parte qualche ipotesi poi rivelatasi non corretta) di chi ci potesse essere prima. Però sapevo di avere in mano un paio di buone carte da giocare: sapevo ad esempio che Raffaele era morto a Marzi il 18/09/1863 e che il certificato di morte doveva recare per forza, come da prassi, i nomi di entrambi i genitori del defunto. Inutile dire che, quando con Bruno mi sono recato all'anagrafe di Marzi, il primo libro che ho consultato è stato quello del 1863. Ed ecco il risultato:




Raffaele quindi era figlio di Pasquale Li Marzi e di Caterina Tucci. Il tutto è stato confermato anche dal contenuto del certificato di matrimonio di Raffaele dove sono indicati i medesimi genitori dello sposo ed in più si può trovare la professione di Pasquale: calzolaio (anzi "calzolajo" come si scriveva un tempo).

Potevo anche essere contento così ma, ad un certo punto, a Marzi ho conosciuto Fabrizio Perri, un giovane autore di alcuni libri sulla storia di Marzi che si è offerto di accompagnare me e Bruno all'Archivio di Stato a Cosenza. Qui, allegato  ad ogni atto di matrimonio, si può trovare, ben conservato, un fascicolo relativo agli sposi e alla loro famiglia (il cosiddetto "processino").
All'epoca, infatti, per poter contrarre matrimonio occorreva il consenso dei genitori e, nel caso questi fossero deceduti occorreva dimostrarlo. Ed è per questo che nel processino relativo al matrimonio di Raffaele e Maria Rosaria Costanzo (Marzi 12/07/1828) abbiamo trovato (scritto interamente a mano metà in latino e metà in italiano e a cura del parroco della Chiesa della Sanità di Cosenza) l'atto di morte di Pasquale, morte avvenuta il 19 giugno del 1807 a Cosenza. Ma si trattava di un atto strano, redatto in maniera diversa da un consueto atto di morte. E poi perché a Cosenza? Il motivo c'è e lo vedremo poi... Vedremo poi anche di provare a spiegarci perché Pasquale si chiamava Li Marzi e suo figlio e tutti i suoi discendenti diretti si chiamarono e si chiamano Limarzi.


2) RAFFAELE LIMARZI (Marzi 12/08/1805 - Marzi 18/09/1863)

- Sempre dall'archivio di stato di Cosenza una rettifica alla data di nascita di Raffaele che è nato il 12/08/1805.

- Anche la data di nascita della moglie Maria Rosaria Costanzo va rettificata, in contrasto con quanto annotato nel suo atto di morte a Castellammare di Stabia e va riportata, secondo l'atto di matrimonio, al 1806.

- Raffaele aveva un fratello maggiore che si chiamava Domenico Limarzi nato circa nel 1802 e che ebbe, a mia conoscenza 5 figli. Fra di essi il primogenito maschio (scomparso a poco più di un anno di età nel 1830) battezzato, come di consueto, con il nome del suo defunto nonno Pasquale.
Non si hanno notizie di altri fratelli di Domenico e Raffaele anche se è molto probabile che ne siano esistiti.

- Raffaele è stato decurione a Marzi (l'equivalente di un nostro amministratore comunale) negli anni immediatamente preunitari (dall'aprile 1856 al maggio 1859) e ha anche ricoperto la funzione di sindaco (surrogandosi al sindaco in carica probabilmente indisponibile). Il tutto per un breve periodo e precisamene negli ultimi mesi del mandato dal gennaio al maggio 1859. (fonte il libro UN PAESE DI CALABRIA CITRA TRA EPIDEMIE E RIVOLTA - MARZI 1830/1860 di F. Perri).

Una considerazione a parte merita quel Pietro Limarzi che è andato a denunciare il decesso in comune di Raffaele e la cui firma ritroviamo sul certificato. Appartiene ad un altro ramo dei Limarzi, quello di Bruno. Non so quale rapporto ci sia fra i due rami, ma certo c'era contiguità. C'e anche un caso inverso: Raffaele compare come testimone nella morte della piccola Francesca (a sua volta del ramo di Bruno) e viene citato come "affine". Tale contiguità, del resto non ha bisogno di particolari certificazioni visto che una copia della famosa foto della famiglia di Francesco a Castellammare veniva conservata a Marzi dal nonno di Bruno stesso a testimonianza del fatto che, dopo trent'anni di lontananza, le famiglie erano ancora in contatto.


3) FRANCESCO LIMARZI (Catanzaro 03/02/1837 - Castellammare di Stabia 19/03/1908)

- Finalmente l'esatta data di nascita di Francesco, nato il 3 febbraio 1837 a Catanzaro. Copia dell'atto di nascita era nel processino del suo matrimonio. Anche questa era una cosa assolutamente insperata visto che tutto immaginavo fuorché trovare questo atto di Catanzaro a Cosenza! Il padre viene riportato con un significativo "don" Raffaele che sta ad indicare il suo stato di benestante. La data di morte era già certa, essendo io in possesso dell'atto di morte di Castellammare. Ciò ci consente di certificare che gran parte delle biografie conosciute rechino delle date errate, così come è errata (cosa non fondamentale per carità!) la tabella di Via Francesco Limarzi a Marzi che colgo l'occasione per pubblicare. Come in precedenza ricordato ci sono evidenze che la famiglia, già tre anni dopo la nascita di Francesco, fosse rientrata a Marzi.



- di Francesco si trovano svariate tracce nel libro di Luigi Costanzo (altro autore e storico marzese) "Dal manoscritto di Francesco Maria De Bonis - MARZI".  Qui viene indicato nello spazio dedicato alle professioni dei marzesi prima come "perito giometra", poi come emigrato a Castellammare e infine come ispettore di pesi e misure. Rimane un mistero dove abbia svolto i propri studi e cosa lo ha indirizzato verso gli stessi che, all'epoca, non erano poi così consueti. Ancora una volta poi viene da chiedersi quale percorso abbia portato un "perito giometra" a diventare un letterato e un "Dantista".

- Francesco si è sposato a Rogliano, città di origine della sua Giovanna Altomare e precisamente nella Chiesa di San Pietro. Il padre di Giovanna era orafo. Gli Altomare ancora oggi esercitano tale attività a Rogliano il cui centro abitato dista solamente 3 o 4 km da quello di Marzi. 

- Dagli atti  risulta il nome di una sorella maggiore di Francesco sin qui sconosciuta: Caterina nata nel 1834. La mancanza del suo atto di nascita a Marzi (è presente solo l'atto di morte) fa ipotizzare che anch'essa sia nata a Catanzaro. Caterina è nata ben sei anni dopo il matrimonio di Raffaele e Maria Rosaria: difficile pensare che sia la loro primogenita. Devono quindi con ogni probabilità essere esistiti altri fratelli di Francesco oltre a quelli conosciuti.



4) GIUSEPPE EUGENIO LIMARZI (Marzi 25/02/1862 - Buenos Aires 1943 o 1948)

- C'era un dubbio sulla esatta data di nascita di Eugenio. Il dilemma è sciolto dall'atto di nascita rinvenuto a Marzi ed è il 25 febbraio 1862.

- Anche se in famiglia è sempre stato conosciuto come Eugenio il suo nome di battesimo è GIUSEPPE EUGENIO. Giuseppe era un altro fratello di Francesco. Rimane mia convinzione che l'aggiunta del secondo nome sia stata fatta per onorare Eugenio Tano (su di lui si veda quanto scritto in precedenza nel post FRANCESCO E L'UNITA' D'ITALIA).


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giovedì 18 agosto 2011

ADOLFO LIMARZI

Finalmente!
Finalmente ho potuto colmare una lacuna di questo mio sito.
Qui Francesco, Giovanna e tutti i loro figli avevano un volto, tutti tranne uno: Adolfo. Era un vero e proprio tassello che mancava. E sembrava davvero una piccola maledizione visto che Adolfo non compariva nemmeno da piccolo nella ormai famosa foto di famiglia a Castellammare.
Ora grazie a Rosario Gava ho una sua foto che vado subito a integrare nel suo post. Rosario è il nipote di Adolfo Limarzi, figlio della sua primogenita Irma Limarzi e di Silvio Gava. A lui va un grazie di cuore.


martedì 16 agosto 2011

LONTANO MA NON TROPPO....

Avevo detto che lo facevo e l'ho fatto. Sono andato a Marzi e mi sa proprio che ci tornerò.
Perché Marzi è un paese che vuole vivere, perché la sua gente vuole vivere e lo fa con giudizio e dignità.
Prima di andarci l'avevo tanto amata Marzi, o meglio avevo amato la Marzi che ho letto nel libro di Fabrizio Perri dal titolo (pur poco rassicurante) "Galantuomini e Assassini" e che ho immaginato percorsa dal mio bisnonno Francesco. L'ho amata come si amano i paesi e le città immaginarie che i romanzieri inventano per i loro romanzi.
Ma, lo ammetto, pensavo dentro di me che la realtà sarebbe stata ben diversa. Più o meno consciamente covavo infatti qualche pregiudizio. Temevo di trovare un paese in disarmo, isolato, travolto dai mali che affliggono il nostro splendido sud.

Invece non è così.
Marzi è un paese pulito, curato e accogliente. Le persone ti sorridono, quando parlano ti fanno capire che la vita è complicata, ma ti sorridono. Dopo pochissimo tempo conosci già un sacco di gente e un sacco di gente ti conosce. Giri per le viuzze intrecciate del centro storico e nessuno ti nega una parola o un saluto.

Quando scoprono che ti chiami Limarzi poi sei a posto, è come se, secoli dopo, ridiventassi uno di loro.
Quando vuoi fare una visita alla chiesa  di Santa Barbara ti basta fare due urla nella piazzetta antistante al sagrato, si aprono due persiane e scende Renato che ti apre e ti fa vedere ogni angolo dell'edificio. Se vuoi fare due chiacchiere ti siedi davanti al bar e trovi subito qualcuno con cui scambiare due parole. Quando ti vuoi ritirare in camera e vai nell'agriturismo dove alloggi ci trovi Nunzio che ti chiede se hai mangiato, hai bevuto, se è tutto a posto.
A Marzi le persone si incontrano, non si incrociano. E c'è sempre qualcuno da incontrare.
Certo, non sono e non possono essere tutte rose e fiori. Di mali del del nostro tempo ce ne sono molti anche qui e, soprattutto, se uno vuole passare inosservato, se cioè, come dice adesso "vuole un po' di privacy", non è questo il posto adatto. Ma in fondo chi se ne importa.

Un grazie a Bruno Li Marzi e a sua moglie Lia che sono stati degli splendidi compagni di viaggio, di ricerche e di lunghe chiacchierate. Un grazie a quell'eterno ragazzo che è Marco, il fratello di Bruno, con il quale non ci si annoia mai e che riesce sempre a strapparti un sorriso. Grazie a Fabrizio Perri per la sua disponibilità, la sua compagnia e il bel pomeriggio trascorso assieme all'Archivio di Stato di Cosenza. Grazie a Telemaco Tucci che crea porcellane e le vende, ma questo è un dettaglio, visto che quando entri nel suo laboratorio tutto gli interessa fuorché venderti delle cose... Grazie a tutte le persone che ho incontrato e che mi hanno fatto sentire a casa.
Ci si rivede!


SILVIO LIMARZI




P.S.: sono anche tornato con tante cose e tante piccole scoperte. Piano piano troverò il tempo di scriverle e riportarle nel sito!

sabato 30 luglio 2011

IN VIAGGIO PER MARZI

Ho deciso di partire.
Mi sa che qualche goccia di testardo calabrese scorre ancora nel mio sangue ma... avevo detto che lo facevo e lo faccio.

Fra una pacca di incoraggiamento, qualche sguardo interrogativo e tanti "buon viaggio" delle persone con cui ne ho parlato domani parto per Marzi. 
E devo dire che sono molto contento di farlo!

Spero sia un davvero "buon viaggio" come lo è stato, almeno sino ad oggi, quello che ho intrapreso alla ricerca delle mie radici.
Qualche compagno di avventura ce l'ho, qualcun altro lo troverò lungo le strade che hanno calpestato i miei avi e poi... VI FARO' SAPERE!

lunedì 9 maggio 2011

FRANCESCO E L'UNITA' D'ITALIA


Chi ha seguito questo blog ricorderà che la pagina "STORIA DI FRANCESCO E DELLA SUA DIVINA COMMEDIA" (cliccare qui) ha lasciato aperto sulla figura di Francesco Limarzi diversi interrogativi. Uno di questi, il più importante forse, era il ruolo da lui ricoperto negli anni tumultuosi della sua giovinezza. Anni, quelli, che videro coinvolta direttamente la sua terra con l'arrivo delle truppe di Garibaldi nell'agosto del 1860 e che, guarda caso, fecero da spartiacque fra la sua vita di Marzi e la sua vita di Castellammare di Stabia.
Riprendo qui di seguito un brano di quella pagina:

Nel 1860, a Marzi, mentre Maria Laura muoveva i primi passi e mamma Giovanna cullava il piccolo Raffaele in fasce, passò quindi un vero e proprio ciclone. Il ciclone di quella rivoluzione Garibaldina il cui 150° anniversario noi italiani stiamo celebrando proprio quest’anno.

Ora, non è dato sapere che influenza abbia avuto tutto questo nella vita della famiglia di Francesco, ma non credo proprio che sia scivolato via come se nulla fosse. Non è dato sapere con certezza nemmeno se il giovane Francesco faceva parte di quegli arruolati che hanno combattuto per le campagne della Sila, certamente però all’epoca aveva una età (22 anni) nella quale era impossibile defilarsi.
Certo, nulla si può fare se non supposizioni, ma è strano che, in coincidenza di quegli anni e di quei grandi tumulti Francesco, Giovanna e i loro piccolissimi figli scompaiano dalle cronache e dall’anagrafe di Marzi e ricompaiono molto tempo dopo a Castellammare di Stabia. E qui la coppia, che per 10 lunghissimi anni non ha avuto figli, improvvisamente ridiventa prolifica: in soli sei anni nasceranno in quattro: Egidio (1872), Adolfo (1873), Silvio (1876) e Umberto (1878).
Difficile non pensare che questo lasso di tempo sia da imputare ad una separazione di Feancesco e Concetta che, non dimentichiamolo, avevano concepito tre figli nei primi quattro anni e mezzo di matrimonio. Uno stacco così lungo fra questi due periodi estremamente prolifici fa inevitabilmente riflettere.

Cosa è successo in quei 10 anni? Perché è fuori di dubbio che qualcosa è successo.
Francesco è andato in guerra? E poi: cosa lo ha portato a Castellammare? In fondo il percorso da lui intrapreso dal profondo della Calabria alle coste campane è il medesimo fatto delle truppe garibaldine.

Sono tutte domande alle quali è impossibile dare risposta, ma che è impossibile non porsi.


Anche mio cugino Silvio si poneva il problema e scriveva in un commento alla pagina:

Perchè Francesco scelse proprio la Divina Commedia?
La conoscenza diretta di De Sanctis?
L'impegno politico oltre che letterario di riversare un testo sacro in italiano nella lingua della sua terra d'origine all'alba dell'Unità d'Italia, che forse anche lui materialmente aveva contribuito a creare?
Forse veramente ha fatto parte della Brigata Bruzio!

Io ero profondamente convinto che Francesco avesse combattuto con i Garibaldini. Molto più di un "tarlo" me l'aveva messo Bruno Li Marzi dicendomi che suo padre questa cosa gliel'aveva sempre raccontata, in più c'era una coincidenza di date e di percorsi troppo clamorosa. Ma mancava la cosa più importante: la prova di tutto questo.
Ricostruendo queste vecchie storie, infatti, sono sempre le congetture a farla da padrone. Senza di esse non sarebbe possibile andare avanti: sono loro a farti prendere una strada sulla quale lavorare, ma confondere le congetture con la verità sarebbe l'errore più clamoroso da compiere.
Per fortuna la prova è arrivata. Se ne stava nascosta dal 1982 dentro un testo che proviene dall'UNIVERSITA' DI MACERATA e precisamente dagli ANNALI DELLA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA - Vol. XV. Nel testo c'è un lunghissimo capitolo ad opera di Carmine Chiodo (docente universitario autore fra l'altro della "Antologia Della Lettura Calabrese" - Anno 2000 - Luigi Pellegrini Editore) che titola:

STORIA  E UMANITA': TENDENZE DI ALCUNI POETI DIALETTALI CALABRESI DELL'OTTOCENTO E DEL NOVECENTO
in questo capitolo una nota:


Francesco quindi combatté al seguito delle truppe di Garibaldi e, prima di trasferirsi a Castellammare rimase nella sua terra a combattere il brigantaggio.
E' bello sapere che se ora siamo qui, dopo 150 anni, a festeggiare l'anniversario dell'Unità d'Italia un pò lo dobbiamo anche a lui che, giovane sposo e padre, ha scelto, come migliaia di ragazzi come lui, di non tirarsi indietro.

E' bello anche scoprire che, dopo tanti anni ha trovato il suo piccolo spazio anche in un testo edito a cura di una Università (Macerata) ben lontana dalla sua terra. Testo fra l'altro che bene ci fa contestualizzare l'epoca in cui Francesco scriveva e che ci fa capire che combattere per la libertà e scrivere poesie non erano cose poi così lontane. A questo proposito ne citiamo l'introduzione:

"La poesia dialettale calabrese ottocentesca e novecentesca rivela caratteri ben diversi da quella precedente, e in particolar modo da quella del Seicento…. i due ultimi secoli sono stati segnati da tristi fenomeni politico-sociali ed economici: il brigantaggio, la mafia, una eccessiva politica fiscale a danno delle classi subalterne, le arretrate condizioni della regione durante e dopo l’unità d’Italia, l’emigrazione. Ciò costituisce il sostrato della poesia otto-novecentesca: nessun poeta dialettale di questi due secoli si sottrae alla trattazione di uno di quesi temi, tra i quali, spicca, specie in alcuni poeti dell'ottocento, quello legato alla contestazione e alla ribellione contro il governo italiano, accusato di non varare una politica che possa migliorare la regione: anzi, frequente è l'accusa che dell'estrema arretratezza della Calabria sia responsabile pienamente il governo.

La letteratura calabrese si connette con la storia politica della regione, di Napoli, dell’Italia tutta. L’arte per i poeti calabresi non fu semplice diletto estetico. Infatti i poeti dialettali calabresi si impegnarono nella lotta sociale, stimolarono il Risorgimento e prepararono le basi del Romanticismo calabrese e italiano.
 
Entrando però nell’epoca romantica le cose cambiano notevolmente: la poesia dialettale assume un consapevole carattere militante, allorché svolge un’azione patriottica e di protesta contro coloro i quali volevano soffocare la libertà e opprimere la povera gente."

Ora si capisce ancora di più la storia di Francesco.
Ma, come spesso accade, la risposta ad un interrogativo fa nascere altre domande: "scrisse moltissime poesie" recita il testo, ma dove sono finite? Esistono altre pubblicazioni meno note di Francesco? Una risposta potrebbe venir fuori cercando fra le fonti alle quali ha attinto Carmine Chiodo per la sua ricerca. Rimane poi da scoprire dove è finito Francesco nel decennio fra il 1862 e il 1872. E poi: perchè Francesco ha scelto di andarsene a Castellammare? Il lavoro da compiere è ancora tanto.


EUGENIO TANO e EUGENIO LIMARZI
C'è poi una'altra di quelle famose congetture che nasce da una considerazione: Francesco ha quindi certamente combattuto nella Brigata Bruzio, composta da Marzesi e destinata all'avanguardia. A comandare questa brigata era un personaggio del quale ho scritto quasi di sfuggita definendolo "tale Carlo Tano". In realtà questi non era poi così "tale": sì trattava infatti di un pittore dilettante del quale però rimangono alcune opere sacre ancora note ai giorni nostri. Ma soprattuto si trattava del padre di, Eugenio Tano al quale insegnò i primi rudimenti della pittura e che più tardi diventò il più importante "pittore garibaldino" quasi ad unire le sue capacità artistiche con quelle di combattente.
Eugenio che era nato nel 1840 ed era quindi coetaneo di Francesco, aveva anche lui avuto un ruolo di primo piano nei moti di Rogliano (e quindi di Marzi) direttamente a contatto con Garibaldi stesso.

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EUGENIO TANO (Marzi 1840 - Firenze 1914) - Pittore e patriota italiano
Figlio di Carlo Tano, un pittore di soggetti religiosi, ricevette i primi rudimenti di pittura a Rogliano, il paese natale della madre Rosa Nicoletti. Successivamente frequentò l'Accademia di Belle Arti di Napoli e, dopo l'unità d'Italia, si perfezionò a Firenze ove rimase per il resto della sua vita svolgendo esclusivamente l'attività di pittore.
Nel 1860 Eugenio Tano partecipò all'impresa garibaldina e svolgendo un ruolo importante per la conquista dell'Italia meridionale. Il 30 agosto 1860, a Soveria Mannelli, il giovane Eugenio Tano e don Ferdinando Bianchi si recarono dalle truppe dell'esercito delle Due Sicilie comandato dal generale Ghio, un corpo di 12 mila uomini bene armati, per un'azione diplomatica che si concluse con la resa delle truppe borboniche. Il disarmo, avvenuto senza combattimento, apri a Garibaldi le porte di Napoli.

Eugenio Tano fu un eccellente ritrattista e, dopo il suo trasferimento a Firenze, un pittore di paesaggi. Ritrasse alcune famose personalità vissute nella seconda metà del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Umberto I, Margherita di Savoia, Giosuè carducci, ecc.) Partecipò a Concorsi e ad esposizioni ottenendo spesso la vittoria; fu molto stimato dal Carducci
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Ora, può essere un caso, ma Francesco scelse di chiamare suo figlio, il primo concepito dopo la rivoluzione, Eugenio.

Me lo sono tante volte chiesto da dove veniva il nome Eugenio. Nel XIX secolo a Marzi sono vissuti ben più di un centinaio di Limarzi: fra loro fioccavano i "Bruno", i "Rosario/Rosaria", i "Giuseppe", i "Maria" e tanti altri nomi ricorrenti, ma fra di essi nessun Eugenio. I nomi dei nuovi nati hanno ricalcato sempre quelli dei nonni, degli zii o di altri parenti ai quali si era particolarmente affezionati. Unica eccezione il nome "Barbara" in omaggio a Santa Barbara patrona del paese, ma che poi divenne anch'esso un nome estremamente ricorrentre.
Francesco non sfuggì di certo a questa consuetudine (almeno nei suoi anni marzesi): battezzò la primogenita Maria (Maria Laura), come sua madre (Maria Rosaria), il primogenito Raffaele come suo padre. Ma per il terzogenito scelse, stranamente, un nome nuovo: EUGENIO GIUSEPPE. Giuseppe era un suo fratello, ma Eugenio chi era?
Era un nome uscito dal nulla. Prima di lui nessuno in familglia l'ha portato, dopo di lui solo mio zio Eugenio palesemente chiamato così in onore del suo predecessore.
Ma, se non era un nome dato a caso (ci credete voi che Francesco dava nomi a caso?) a mio parere non poteva che essere il nome di Eugenio Tano, compagno di battaglia di Francesco a Marzi che poi tanta strada fece come garibaldino e come pittore.

E' un'ipostesi, certo, e va presa come tale. Non c'è nessuna prova di quello che dico. Ma, proseguendo nel ragionamento è impossibile non notare un'altra bella coincidenza: anche Eugenio LImarzi divenne un pittore affermato. E qualcosa mi dice che quell'accanimento con cui il padre Francesco ne ha sostenuto la vocazione non era casuale, ma era il desiderio di vedere il figlio ripercorrere la strada di quell'amico e personaggio che, evidentemente, tanto ha ammirato.

Il tutto può essere azzardato? Forse. Ma senza congetture non sarei arrivato sin qui.



SILVIO



UNA POSTILLA visto che abbiamo appena ragionato di nomi di battesimo:
c'è da aggiungere una piccola annotazione: evidentemente, 16 anni dopo la nascita di Eugenio, Francesco cominciava ad essere un pò più soddisfatto di quella Patria per la cui costruzione aveva lottato. Infatti, se nel 1862 a suo figlio aveva dato il nome di un rivoluzionario, nel 1878 decise di onorare l'insediamento di Umberto I nuovo Re d'Italia, chiamando Umberto l'ultimo dei suoi 7 figli.

mercoledì 27 aprile 2011

LAURA LIMARZI

27 APRILE 1911 – 3 AGOSTO 1912
NEL CENTENARIO DELLA SUA NASCITA

Ci sono tantissime cose inaspettate che sono accadute lungo questo mio viaggio che va dal profondo delle radici della nostra famiglia fino ai giorni nostri. L’elenco sarebbe davvero lungo e, ora che ci penso, meriterebbe di essere, a sua volta, raccontato. Ma il momento che mi rimarrà maggiormente impresso sarà senz'altro quello in cui mi sono ritrovato a dire a mio padre che aveva avuto una sorella, una piccola sorella morta precocemente della quale non aveva mai conosciuto l’esistenza.
A frugare nelle vecchie cose succede anche questo. Capita di leggere nella pagina di un registro delle nascite di Castellammare di Stabia il nome di Laura Limarzi. Una vera, grande sorpresa. Laura, secondo il registro, era la seconda figlia di mio nonno Silvio e della sua prima moglie Pia Vollono. Era nata in un posto sconosciuto in provincia di Pistoia: Sambuca Pistoiese.


Nessuno in famiglia sapeva della sua esistenza, tantomeno mio padre che è nato 21 anni dopo da Giuseppina, la seconda moglie di mio nonno.
Per questo, per quanto fosse altamente improbabile davanti ad un documento così accuratamente compilato, ho inizialmente pensato ad un errore. Ogni dubbio però è presto svanito quando, qui a Meldola, rintracciando un vecchio stato di famiglia degli anni ’30, abbiamo ritrovato, in una intricatissima annotazione, il nome, la data e luogo di morte di Laura: Bagno di Romagna, 03/08/1912. Successivamente, attraverso un amico residente nella stessa Bagno di Romagna è arrivato anche il certificato di morte. Laura è quindi vissuta poco più di 15 mesi.



Nonno Silvio dopo il 1910 aveva risalito l’Italia per esercitare la sua professione di medico. Ai tempi occorreva ottenere la “condotta” dal sindaco del paese: il medico infatti era un dipendente comunale a tutti gli effetti e veniva nominato dalla giunta del comune mediante concorso. All’inizio queste condotte erano temporanee, perlopiù in sostituzione di medici momentaneamente indisponibili. In questo modo è facile giustificare i suoi iniziali, frequenti spostamenti: fra il 1910 e il 1911, con ogni probabilità quindi Silvio si è ritrovato a Sambuca Pistoiese per poi trasferirsi, questo si sa con certezza, a Bagno di Romagna (1911 – 1912) e successivamente a Civitella di Romagna (1912 – 1920) ed infine a Meldola (1920 – 1950). La prima figlia femmina nata dopo Francesco (1908), non fu quindi, come avevamo sempre creduto, Maria (1913), ma Laura, nata nel 1911. Anche in questo caso i nomi non erano frutto del caso considerando che Maria Laura era l’unica sorella di Silvio.


Il perché lui e sua moglie Pia non abbiano mai fatto parola della piccola è un vero mistero. Unica traccia, riletta con il senno di poi, è una frase dell’orazione funebre scritta da un’amica civitellese di Pia pochi giorni dopo la sua morte “…accanto all’amore ci fu spesso il dolore perché molti lutti, molti tormenti amareggiarono il tuo cammino, o diletta…” .
Tutto questo mi ha fatto riflettere tanto, tantissimo prima di scriverne. Mi sembrava quasi di violare un segreto, di sicuro più che adeguatamente motivato. Un segreto accompagnato e certamente dettato dal dolore e da chissà cos’altro.
Da mesi ormai questo piccolo dilemma mi rimbalza nella testa. Proprio ieri però ho realizzato che oggi sarebbe stato il giorno del centenario della nascita di Laura. Cento anni possono essere sufficienti e ho deciso che oggi avrei ricordato Laura. E l’ho deciso perché credo che, dopo un secolo, anche quella bimba “sepolta nel Campo Santo di Santa Maria in Bagno di Romagna – collocò Angiolo Balassini, Prevosto” (tratto dai documenti della Parrocchia di Santa Maria) meriti di essere ricordata con affetto. Ciò anche perché, qualsiasi sia la storia che si cela dietro di lei, credo che si possa ritenere archiviata dal tempo. Tempo che però non potrà mai archiviare la venuta al mondo e la seppur breve vita di questa mia piccola zia.
Avrei anche voluto ritrovarla, magari per riportarla nella tomba di famiglia qui a Meldola, ma non ci sono riuscito. A Bagno di Romagna i registri del cimitero dell’epoca sono andati persi. Come ultimo tentativo, poi, ho anche visitato quel cimitero, ben sapendo che una piccola salma, dopo cento anni non si sarebbe potuta rintracciare. Ma chissà, forse è stato meglio così: Riposa In Pace piccola Laura, ovunque tu sia!

SILVIO LIMARZI



P.S.: Un’ultima curiosità: Laura Limarzi è mia sorella. Mio padre senza saperlo l’ha chiamata come la sua di sorella. E’ un caso, certamente: Laura è un nome che piaceva a mia madre…

Ha una figlia che sta per diventare suora, come Maria Laura. Anche questo è un caso, ma a volte al caso piace scherzare…

SILVIO LIMARZI


SILVIO LIMARZI era mio nonno. E’ nato a Castellammare di Stabia il 21/04/1876 ed è morto a Meldola, ove riposa nella cappella di famiglia, il 9/07/1950.
E’ ovvio che sia, fra i figli di Francesco, quello del quale conosco più cose ed è anche quello del quale porto il nome.
Certo, le nostre vite non si sono nemmeno sfiorate: il “nonno Silvio” è morto ben 18 anni prima che io nascessi. Ciò non toglie che mi sia mancato. Lo dico non solo perché mi è mancato un nonno (il mio nonno materno Aldo in fondo spesso faceva per due!), ma perché avrei davvero voluto tanto conoscerlo. Avrei voluto farmi raccontare da lui in persona i mille aneddoti riguardanti la sua vita, aneddoti che ho sentito dalla voce di mio padre e dei miei zii. E avrai voluto scoprire chi era quell’uomo del quale ho sentito parlare da TUTTI i suoi figli con tanta ammirazione, stima, rispetto e infinito affetto.
Di tutti questi aneddoti e della sua vita racconterò più avanti ma, in fondo, per definire qualcuno non sarebbe sufficiente questo? Ha vissuto in pace ed è stato un grand’uomo per i suoi figli.
Per questo per me mio nonno non è solo una vecchia foto esposta bene in vista nella libreria di mio padre, ma è sempre stata una persona della quale ho sentito la vicinanza e con la quale ho incrociato la mia vita e, tante volte, i miei pensieri.
E, quando non sono bastati gli affettuosi promemoria dei figli ci hanno pensato i nostri comuni concittadini di Meldola, specie i più anziani, a raccontarmi di “quella volta che ero malato e il tuo nonno, il dottore, è venuto e…..”. Tutti racconti con il sorriso.

Silvio infatti era medico. Ma nella Meldola fra il 1920 e il 1950 la parola “medico”, non esisteva proprio: c’era solo “è dutòr”: il dottore. E a dire il vero non è neanche che ce ne fossero tanti di dottori, visto che con 10.000 abitanti sparsi in tanta campagna erano solo in due (ospedale compreso) ad arrabattarsi fra parti in luoghi improbabili, malattie infantili, infezioni ed epidemie falcidianti. Senza tralasciare il tragico fardello di una guerra mondiale anche a Meldola particolarmente cruenta.
Ma ora, per il momento, raccontiamo chi c’era in questa famiglia:

Silvio si sposò a Castellammare il 14 dicembre 1907 con PIA VOLLONO dalla quale ebbe 3 figli:

- FRANCESCO (Castellammare 05/10/1908 – Taranto 19/08/1927)
Francesco non sfuggì alla tradizione che voleva che il primo figlio maschio portasse il nome del nonno. Ancor più predestinato a tale nome fu dal fatto che, mentre Pia lo portava in grembo, Francesco, il padre di Silvio morì. Come battezzare il primogenito divenne, quindi, una scelta quasi scontata. Francesco era un giovane aviatore dell'Aereonautica Militare Italiana quando si schiantò con un idrovolante in collaudo nel Golfo di Taranto. La sua morte fece a Meldola un grande scalpore e, nel salone comunale del paese, venne allestita una visitatissima camera ardente.

SILVIO E FRANCESCO
in una foto trasmessami dal cugino Silvio

- LAURA (Sambuca Pistoiese 27/04/1911 - Bagno di Romagna 03/08/1912)
Laura ebbe vita estremamente breve.

- MARIA MERCEDES (Civitella di Romagna 19/09/1913 - Napoli 31/01/1966)
Maria sposo il comandante della stazione dei Carabinieri di Meldola, l'allora tenente Osvaldo Saitto, dal quale ebbe due figli: Mario e Alfredo (detto Dino)
 
 
Pia (nata a Castellammare il 10/08/1882) morì a Civitella di Romagna il giorno prima del suo trentaquattresimo compleanno (il 9/08/1916), anche lei colpita dall’epidemia di Spagnola che flagellò l’Italia in quel periodo. Morì mentre portava in grembo un figlio che non vide mai la luce.
Spesso mi capita di pensare a quale travaglio sia andato incontro un uomo, oltretutto medico, che è costretto all’impotenza mentre vede morire contemporaneamente la propria moglie e il proprio figlio.
Silvio, medico condotto, si trovava a Civitella dal 1912 ove era stato trasferito da San Piero in Bagno (qui era anche Ufficiale Sanitario). Là rimase fino al suo trasferimento definitivo a Meldola nel 1920. La famiglia lo raggiunse a Meldola l’anno successivo.

Nel frattempo, sempre a Civitella di Romagna, Silvio si era risposato con GIUSEPPINA VOLLONO (Castellammare 08/09/1891 – Meldola 18/03/1958) sorella di Pia.




Questo documento fa parte degli atti burocratici necessari per contrarre il matrimonio che si è tenuto a Civitella di Romagna il 13/08/1917 ed è di particolare interesse perché l'Ufficiale dello Stato Civile che lo firma è Adolfo Limarzi (il fratello di Silvio) che era già divenuto (o stava per divenire) segretario capo del comune di Castellammare di Stabia

Da Silvio e Giuseppina nacquero altri cinque figli (due a Civitella e tre a Meldola:

- VITTORIO (Civitella di Romagna 22/06/1919 – Ancona 18/09/1979)
Che trascorse gran parte della propria vita fra Torino e Ancona. Sposò JOLANDA PANTIERI ed ebbe un figlio chiamato (ovviamente!) SILVIO;
  
- LUCIANO detto Eugenio (Civitella di Romagna 17/07/1921 – Roma 15/11/1982)
Visse a Roma dove, dal matrimonio con ASSUNTA PORPORA, nacquero MAURIZIO e ORNELLA;
  
- GIOVANNI detto Nino (Meldola 20/03/1925 – Forlì 24/07/2003)
Visse a Forlì con sua moglie MARIA PIA POMPEIANO ed ebbe 3 figli: Marco, Gabriella e Silvia;
  
- FRANCESCO detto Franco (Meldola 06/10/1927 – Forlì 26/02/1993)
Francesco "ereditò" il suo nome dal fratello morto neanche due mesi prima. Visse quasi sempre a Forlì. Ebbe due mogli: con la prima Franca Pizzurro ebbe Manuela, con la seconda Anna Argento non ebbe figli.
  
- UMBERTO (Meldola 27/09/1933 – vivente)
Mio padre. Sempre rimasto a Meldola qui sposò Gaura Gorini ed ebbe due figli: Laura e Silvio (il sottoscritto).

Per il momento mi fermo qui, volutamente didascalico. In realtà è impossibile fermarsi qui e quindi ci sarà un seguito.


SILVIO LIMARZI


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venerdì 8 aprile 2011

MARZI - CHICAGO BIGLIETTO DI SOLA ANDATA


"C'era nebbia quando finalmente ci avvicinammo alla baia di New York, ma troppo tardi per entrarvi. Da ore si vedevano fuori piccole imbarcazioni dalle vele bianche e finalmente scorgemmo una scura striscia di terra che pian piano svaniva sotto una cortina di nebbia e di oscurità. In ogni modo era terra - era l'America! Le paure che lo sconfinato oceano aveva destato in noi si dileguarono subito, lasciando il posto ad un rassicurante sollievo. Ci aggiravamo felici sul ponte. Sottocoperta regnavano confusione e schiamazzo. Parlavano tutti all'unisono. Lentamente, però, scese su di noi il silenzio. Le nostre menti erano attraversate da un dubbio atroce: essere ammessi in America oppure essere rispediti indietro perchè indesiderati, il che significava una vita distrutta, dal momento che molti di noi erano venuti grazie ad un prestito di denaro di cui neanche il solo interesse sarebbero stati appena in grado di pagare al ritorno."



IL VIAGGIO DI LUIGI E PALMA LIMARZI

Negli anni successivi all’unificazione d'Italia il meridione si trovava in uno stato di estrema povertà e arretratezza, falcidiato da malattie ed epidemie e schiacciato da una impostazione ancora di stampo feudale. A questo si è aggiunta la crisi agraria dal 1880 in poi e, successivamente, l'aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali, il declino dei vecchi mestieri artigiani, delle industrie domestiche, la crisi della piccola proprietà e delle aziende montane, delle manifatture rurali.
Le popolazioni, letteralmente stremate dalla sommatoria di tutti questi problemi, non ebbero altra alternativa che migrare in massa.

Gli Stati Uniti, al contrario, dal 1880 aprirono le porte all'immigrazione nel pieno dell'avvio del loro sviluppo capitalistico; le navi portavano merci in Europa e ritornavano cariche di emigranti. I costi delle navi per l'America erano inferiori a quelli dei treni per il Nord Europa, per questo milioni di persone scelsero di attraversare l'Oceano. Al sud la porta principale da prendere per giocarsi l’ultima carta, quella della scoperta del “nuovo mondo”, non poteva che essere uno dei più grandi porti del mediterraneo: quello di Napoli. Da qui attraccavano e partivano a un ritmo impressionante navi di ogni genere e tipo stracariche di migliaia e migliaia di nostri connazionali.

Il 5 giugno 1901 sulla banchina di quel porto, in coda in mezzo ad altri 801 futuri compagni di viaggio, se ne stava un pensieroso LUIGI LIMARZI. Era lì per imbarcarsi sul piroscafo “Vincenzo Florio”.

Il "Vincenzo Florio" in un dipinto ad olio:
fu il primo piroscafo italiano costruito per la tratta Napoli - Genova - New York

Al suo fianco la presenza rassicurante di sua moglie Palma (che da signorina di cognome faceva Garofalo). I due erano di sicuro molto preoccupati anche perchè non erano più due ragazzini in cerca di fortuna: Luigi (nato nel 1837) doveva compiere 64 anni a luglio, Palma era solo di un anno più giovane.
Luigi, uno dei tanti Limarzi di Marzi, era nato infatti lo stesso anno di mio bisnonno Francesco. Certamente fra i due un legame di sangue (più o meno lontano) sussisteva e, in ogni caso, è sin troppo facile pensare che, coetanei e cresciuti assieme nel loro piccolo paesello, dovessero avere per forza condiviso un percorso comune.
Chissà, magari qualche giorno prima di quella mattina affollata di pensieri, Francesco e Luigi si erano anche incontrati, visto che Francesco da circa trent'anni si era stabilito poco distante, a Castellammare di Stabia.

Sui genitori di Francesco abbiamo detto nella pagina "La settima generazione", su quelli di Luigi faccio qui una piccola digressione: Luigi è nato a Marzi il 06/07/1837 primogenito di ROSARIO LIMARZI e FELICIA GAROFALO (in alcuni testi “Fenicia”). Oltre a lui la coppia ha avuto altri 6 figli, 4 dei quali morirono piccolissimi.  Rosario peraltro era il secondo matrimonio dopo che il primo, sfortunatissimo, si era concluso con la morte della moglie ROSA DE VUONO avvenuta a soli 24 anni. Come se non bastasse oltretutto, la coppia aveva dovuto sopportare la perdita degli unici due figli in fasce: Isabella (morta a soli 3 mesi) e Giuseppe (morto a 9 mesi).
Genitori di Rosario e quindi nonni di Luigi erano FRANCESCO LIMARZI (1775 – 1820) e MARIA CALABRESE.

C’è poi questo ricorrere del nome "Francesco" nella vita di Luigi che si presta a congetture: era il nome del nonno, è vero, ma lo stesso Luigi non l'aveva mai conosciuto perchè era morto ben prima che lui nascesse. E allora perchè a sua volta battezzò ben quattro dei suoi figli (una femmina e tre maschi) con quel medesimo nome?
Perchè vi era così affezionato?
Forse (mia ipotesi forse un po' troppo avventata) in omaggio al cugino?
Questa ostinata ripetitività, è peraltro anche il frutto del destino, del fatto cioè che purtroppo tutti e tre i maschi di cui si parla morirono bambini.
Stessa triste sorte capitò, oltretutto, anche ad altri due figli di Luigi e Palma: Carmine e Antonio.

Già, "ostinata ripetitività".
Luigi doveva essere davvero un uomo ostinato. Sennò dove avrebbe trovato la forza per partire?  Se non li avete contati ve lo dico io: sono 11 le morti che lo hanno colpito: 6 dei suoi fratelli e 5 dei suoi figli. Nessuno di loro è arrivato a compiere il decimo anno di età. Da qui si capisce che l’arretratezza del meridione dell'epoca, quella di cui si parlava in apertura, non è un concetto astratto che si ritrova sui libri, ma un flagello che colpiva ferocemete i cuori della gente.
A questo padre così bersagliato dalla sorte, quindi, non rimanevano che due figlie femmine (oltre alla già citata Francesca, sposa di Carmine Aiello, c’era Carmela sposa di Raffaele Aiello) e un unico figlio maschio: Giuseppe nato nel 1869. Ma era un padre che, nonostante tutto, era lì e non si era arreso.

MARZI 1881 - ASSALTO AL MUNICIPIO
Arrendersi, del resto, non faceva parte del carattere di Luigi. Lo si era già capito qualche anno prima, nel 1881: fu allora che i maggiorenti marzesi pensarono bene di istituire l'ennesima tassa gravante sulle già provate popolazioni: la tassa sul focatico. Questa tassa, oltretutto, non è che rispecchiasse propriamente i principi della cosiddetta equità fiscale, visto che andava a tassare semplicemente il "focolare" inteso come entità famigliare, indipendentemente dal reddito della stessa. Risulta sin troppo chiaro quindi che, ancora una volta, erano i più poveri a essere colpiti maggiormente.
Fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Il carattere non proprio conciliante degli abitanti di Marzi fece il resto e andò a finire che, nella sera del 13 febbraio, ci fu un ammutinamento generale che sfociò nella occupazione del municipio durante un consiglio comunale. Qui una turba di gente finì con l'inveire (non solo verbalmente) contro Sindaco, consiglieri, il medico condotto, la maestra e il maestro (il concetto di "autorità" nel 1881 evidentemente era piuttosto distante da quello di oggi..). Il Sindaco non fece a tempo ad intimare lo sgombero dell'aula che venne preso per il collo da un cittadino marzese, Francesco Caputo.
Fra quelli con gli animi più accesi c'era il nostro Luigi che si ritrovò fatalmente con una denuncia che sfociò in un processo alla corte di Cosenza. Assieme a lui, davanti al giudice, vennero chiamati alcuni suoi compagni di  "assalto" Domenico e Francesco Garofalo. Tutti dovevano rendere conto del proprio operato che in effetti non era stato propriamente ortodosso. Per fortuna, vuoi per la clemenza del giudice, vuoi per la bravura dell'avvocato Nicoletti che ne assunse le difese, vuoi soprattutto per il fatto che effettivamente, non vi furono significativi atti di violenza, non vi furono condanne. (fonte: PAESE INQUIETO di Luigi Costanzo - Orizzonti Meridionali Editore)

Anche questo episodio ci illumina sul fatto che Luigi non era tipo da stare con le mani in mano ad aspettare che il destino facesse il suo corso.

Ma tutto questo, se da un lato ci spiega cosa quest'uomo voleva lasciarsi alle spalle, dall'altro non ci dice dov'era diretto esattamente. La nave partiva per New York, certo, ma il "nuovo mondo" era ben più grande.
E qui ci vengono in soccorso le carte d'imbarco (ove bisognava dichiarare la destinazione finale e il nominativo di chi si andava a raggiungere in America). Infatti qui troviamo appuntata (di fianco a tutti i nomi che abbiamo elencato) la loro meta: Chicago.

Ma perchè proprio Chicago?
Anche questo sta scritto su quelle carte. Per inseguire cioè un unico, fondamentale, obiettivo: riabbracciare il figlio Giuseppe ("to join son Giuseppe").
Erano perciò dedicati a lui molti dei mille pensieri che hanno accompagnato la nostra coppia durante l'attesa della nave. Ed era quello il vero motivo per cui, molto più che adulti, i due stavano per affrontare l’oceano: volevano raggiungere quel loro figlio che era già da tempo in America in quella città dallo strano nome.
Giuseppe, evidentemente, unico giovane uomo di famiglia si era preso la briga, seguendo uno schema che si ripete anche delle migrazioni di oggi, di andare lui “in avanscoperta” a scoprire se quel nuovo mondo potesse anche essere un mondo dove vivere.

Evidentemente giudicò che lo fosse.
E doveva essere stato molto convincente perché su quella banchina del porto, come appunto si legge dai documenti di bordo del piroscafo, non c'erano solo i suoi genitori, ma c’era anche Maria Tucci, sua promessa sposa, e c'erano i due fratelli di lei (i suoi futuri cognati Carmine e Francesco Tucci).  Ma non basta: c’era il marito di sua sorella (Carmela) Raffaele Aiello assieme a quel Domenico Garofalo suo compagno nell' "assalto al municipio" del 1881.

NOTA
Di Raffaele Aiello sappiamo però che fece ritorno in Calabria tanto che, assieme alla sua Carmela Limarzi (o Li Marzi che dir si voglia), fece crescere una famiglia che ancora oggi ha le sue propaggini a Marzi. Raffaele e Carmela infatti sono i bisnonni di Fabrizio Perri, autore e storico marzese più volte citato in questo sito che mi ha fornito anche una foto delle due figlie di Luigi, le sorelle Carmela e Francesca.


Francesca e Carmela Li Marzi
(foto Fabrizio Perri)


Questa perciò, ora si capisce, non è altro che una delle tante storie di mare e di emigrazione, di sogni e di valigie di cartone.
Niente di più attuale.
In questi giorni, 110 anni dopo, migliaia di Tunisini e di Libici si stanno ammassando a Lampedusa fuggendo da guerre, miserie e povertà. E, purtroppo, elicotteri e motovedette perlustrano il mare di Sicilia in cerca di cadaveri di uomini che, sperando anche loro in un nuovo mondo, sono tragicamente affondati a bordo di un barcone.
Oggi il miraggio siamo noi, allora il miraggio era “l’America”.  Lo stesso miraggio che, a suo tempo ha portato via dall’Italia anche tanti membri della famiglia alla quale apparteniamo (Luigi non è stato certo l’unico).

E anche l’America, per i milioni di immigrati di tutto il mondo, aveva la sua isola che fungeva da porta d’entrata quasi obbligata. La Lampedusa d’oltreoceano si chiamava Ellis Island: da qui sono passati Luigi, Palma e tutti gli altri loro compagni di traversata.

ELLIS ISLAND è un isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stata la maggiore frontiera d'ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti.

Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi, che all'arrivo venivano sottoposti a controlli sanitari e burocratici durissimi. Ciò le valse l’appellativo di “Isola delle Lacrime”.
I nuovi arrivati dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. Medici del Servizio Immigrazione controllavano ciascun emigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali).
Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan.

I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. "I vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano" rammentava il vademecum destinato ai nuovi venuti. Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza.

Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 di persone approdate.

Ellis Island è oggi un immenso museo dedicato a tutte quelle persone che, come Luigi, Palma e tanti altri che portavano il nostro cognome, vi approdarono in bilico fra la fuga, la disperazione e il sogno. Dal  curatissimo sito del museo (Ellisisland.org) ho potuto estrapolare le carte di imbarco alle quali mi riferisco e tante altre informazioni. Attraverso di esso ho avuto modo di riflettere anche su tante cose che stanno succedendo ai giorni nostri soprattutto quando ho letto questo trafiletto:

“Nel Museo dell'Emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l'Italia, nella disperazione si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.”

La "Vincenzo Florio” attraccò a New York il 21/06/1901. 

Io non so quanto faticoso fosse stato viaggio di Luigi, Palma e i suoi compagni, non so nemmeno quanto fossero smarriti i loro sguardi quando, dopo 16 giorni di navigazione, sono sbarcati stracarichi dei loro bagagli. Ma posso immaginarlo. Così come posso solo immaginare la trepidazione con la quale affrontarono i controlli e le visite mediche. Di sicuro però so una cosa: che riuscirono nel loro intento e che Ellis Island fu solo una tappa di passaggio, breve per quanto indimenticabile, nella loro vita.  
A Chicago non solo arrivarono, ma lì rimasero per sempre. E sono certo che Giuseppe quell’estate 1901 se la sarà ricordata per il resto dei suoi giorni visto che fu l’estate nella quale, in un colpo solo, riabbracciò padre, madre, cognati e... sua moglie. Infatti, neanche il tempo di farle disfare i bagagli i e Giuseppe sposò la sua Maria nella "Italian Mission Church" della città. Non c'era un istante da perdere.   Ed è da lì in poi che la storia dei Limarzi a Chicago è veramente cominciata, è proseguita e sta proseguendo sino ai giorni nostri nell’intera contea di Cook, Illinois, alla quale Chicago appartiene.


Ma, matrimonio a parte… da dove è cominciata? Da dove comincia la vita di un immigrato? Da un lavoro, è ovvio.
Giuseppe se lo sarà chiesto di sicuro: “cosa diavolo può fare un calabrese a Chicago per guadagnarsi da vivere onestamente?” E trovò la sua risposta: il barbiere!
Poco originale ma efficace.
Del resto, in qualsiasi film americano se il protagonista decide di farsi barba e capelli, finisce inevitabilmente da un barbiere italiano il quale comunque svolge tale attività in maniera assolutamente secondaria. Il suo salone diventa infatti una via di mezzo fra un punto di ritrovo e un luogo dove si ha la pretesa di discutere dei massimi sistemi e dove si dispensano, compresi nel prezzo di una rasatura, consigli e strategie di vita (un esempio? Clint Eastwood e il suo amico barbiere Martin in “Gran Torino”).
Luoghi comuni? Certamente! Ma nessun luogo comune nasce per caso.
E nessun lavoro onesto, per quanto umile si può barattare con qualcosa di meno onesto.

Un lavoro quindi e l'intera sua famiglia al fianco.
Giuseppe deve aver capito subito di avere finalmente fra le mani tutto quello che gli serviva. Gli mancava solo la parte più facile: avere dei figli con la sua Maria. Infatti giusto il tempo di sistemarsi, di imparare quattro frasi in inglese e nasce, il 26/11/1903, il primogenito dal nome scontato: LUIGI ROSARIO (il padre e il nonno di Giuseppe). La coppia però  doveva, con ogni probabilità, fare ancora un po’ di pratica con l’anagrafe del luogo in quanto, come risulta dall’atto di nascita, l’italianità dei nomi della famiglia era completamente scomparsa:



Posso capire per il nome del nuovo nato (Louis Rosary), ma Joe e Mary al posto di Giuseppe e Maria era decisamente un po’ troppo.
In occasione della nascita degli altri loro figli, capita l’antifona, marito e moglie rimisero le cose a posto e diedero loro gli italianissimi nomi di ROSARIO RODOLFO (1905), GIUSEPPE SERAFINO RODOLFO (1907), ROSA (1910) VIRGINIA (1912) e MARGHERITA (1914). Unico incidente (un classico anche in Italia per la verità) l’errata registrazione di Giuseppe Serafino Rodolfo nella quale il cognome viene scritto staccato e modificato in Li Marzi.



E, per inciso, a quanto ne so, l'ecatombe di neonati e adolescenti che aveva costellato la vita di Giuseppe era finalmente alle spalle: nessuno morì in fasce e nemmeno a cinque o dieci anni. In particolare Luois morì a 88 anni, Giuseppe (inesorabilmente diventato Joseph) a 93, Rosa a 77, Virginia a 92…. Era il segno che la qualità della vita era cambiata. E proprio questo fu il primo risultato della traversata, assicurare un futuro ai propri figli. Non si sa se migliore o peggiore è vero, ma almeno c'era un futuro. E con esso la possibilità di crescere e di giocarsi le proprie carte.

E qualcuno le sue carte se le giocò bene: 


LOUIS R. LIMARZI (Chicago 26/11/1903 – Chicago 12/04/1991)
Medico e ricercatore

Anche con i soli guadagni da barbiere Giuseppe riuscì a far studiare il primogenito Louis che, laureatosi in medicina all’Università dell’Illinois diventò un luminare a livello mondiale nell’ambito della cura delle malattie del sangue ed uno dei pionieri nella cura delle leucemie. La sua carriera durò più di 50 anni. A lungo docente emerito della University Of Illinois – School of Medicine, sulle sue intuizioni si basano ancora alcuni degli attuali principi di cura in questo campo. Fu uno dei primi ricercatori a suggerire l’uso della chemioterapia abbinata a farmaci specifici per il trattamento di questa malattia.

Autore di oltre 160 fra articoli e testi di ematologia, compresi alcuni importanti lavori sull’analisi del midollo dei bambini disegnò personalmente uno dei primi strumenti medici per estrarre il midollo osseo che era ancora in uso all’epoca del testo sotto riportato (1991).




Si tratta dell’articolo, molto più che un semplice necrologio, che gli ha dedicato il Chicago Tribune in occasione della sua morte il 19 aprile 1991 e che ho appena riassunto sommariamente

Louis sposò Ethel (19/06/1905 – 02/04/1993) dalla quale ebbe due figlie Cynthia (1947 – 2006) e Roberta (1943 – vivente).




JOSEPH LI MARZI (Chicago 15/09/1907 – New York 4/3/2000)
Artista

Giuseppe Serafino Rodolfo Limarzi invece diventò Joseph Li Marzi. Per il cognome erroneamente staccato avrebbe dovuto ringraziare il distratto impiegato dell’anagrafe della città di Chicago, mentre per il nome di battesimo invece si sarà presto rassegnato all’americanissima inesorabile abitudine e a tradurre in inglese tutti i nomi propri stranieri.  

Joseph frequentò School of the Art Institute of Chicago. Insegnò e diventò un pittore affermato in tutti gli Stati Uniti dove sono disseminate decine di sue opere che tutt’ora, a vent’anni dalla sua morte hanno un loro mercato.

Eccone due fra quelle che sono riuscito a rintracciare:


Joseph LiMarzi - Woman With Cat



Joseph LiMarzi - Californian Impressionist Scene
Le sue principali mostre citate nei cataloghi sono quelle presso:
- Art Institute of Chicago
- Pennsylvania Academy of the Fine Arts
- Salons of America

Della sua morte il 4 marzo 2000 abbiamo notizia dalla pagina dei necrologi del New York Times





Degli altri fratelli so ben poco. Qualche traccia di Virginia e niente più. Ma poco importa. Quello che importa e che più mi è piaciuto nel ricostruire questa vecchia storia di famiglia e stato scoprire che Luigi, Giuseppe e tutti quelli del Vincenzo Florio siano riusciti a vincere questa loro battaglia contro il destino. Certo, io non so e non posso sapere se le loro siano sono state vite felici e soprattutto se e quante altre battaglie hanno vinto o perso. Ma almeno quella di Ellis Island so come è andata a finire.



SILVIO LIMARZI






GENEALOGIA: La famiglia di Luigi



GENERAZIONE 1
DOMENICO  LIMARZI – CATERINA GAROFALO


GENERAZIONE 2
FRANCESCO LIMARZI (1775- 1820)  – MARIA CALABRESE


GENERAZIONE 3
(gli unici due figli certi di Francesco e Maria)

1) PALMA LIMARZI (1798 – 1819)
2) ROSARIO LIMARZI (? – 1866)

GENERAZIONE 4 e successive – RAMO DI ROSARIO

ROSARIO LIMARZI

Sposa in prime nozze il 16/07/1829 Rosa de Vuono (1809 - 1833) dalla quale ha 2 figli

1 - ISABELLA (1830 – 1830)
2 - GIUSEPPE (1831 – 1832)

Nel 1833 si chiude con la morte di Rosa il primo tristissimo matrimonio di Rosario (vedovo dopo 4 anni con due figli deceduti in fasce). Un po’ di fortuna in  più la ebbe con il secondo: sposò infatti Fenicia o Fenice Garofalo (a seconda degli atti) dalla quale ebbe altri 7 figli:

3 - LUIGI (1837 - ?)
Sposò Palma Garofalo ed ebbe 8 figli:

- FRANCESCA (1857 - 1912) che sposerà Carmine Aiello (figli Antonio – Giuseppe e Rosario)
- FRANCESCO (1861 - 1866)
- FRANCESCO (1866 - ?)
- CARMINE (1868 – 1868)
- GIUSEPPE MARIA (1869 - ?) che sposa Maria Tucci
- FRANCESCO (1876 – 1882)
- ANTONIO (1880 – 1887)
- CARMELA (1880 - 1964) che sposerà Raffaele Aiello

QUI CI SONO TUTTI I PROTAGONISTI DELLA STORIA….


ALTRI FRATELLI DI LUIGI:

4 - PALMA ( 1840 – 1840)
5 - CARMINE (1841 – 1845)
6 - MARIA (1844 -1845)
7 - MARIA (1847 - ?)
8 - CARMINE (1852 – 1859)
9 - ROSARIO (1857 - ?)

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