“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

domenica 23 gennaio 2011

LA FAMIGLIA LIMARZI A CASTELLAMMARE

Mio cugino Marco mi ha mandato la foto della famiglia di Francesco quasi al completo. Suo padre Giovanni, il caro "zio Nino", l'aveva fra le sue scartoffie. Appassionato com'era di storia aveva tutta una sua sezione dedicata alla nostra famiglia che speriamo in futuro ci riservi qualche altra bella novità. Nel frattempo godiamoci questa bellissima foto, presumibilmente scattata fra il 1880 e il 1890. E' la stessa foto di cui mi aveva parlato il mio (omonimo) cugino Silvio ed è la stessa che mi aveva mandato, solo per metà e in peggiore stato, Bruno. (cliccare sull'immagine per ingrandirla)


Provando a individuare (con un pò di beneficio di inventario) i nomi dei personaggi ritroviamo FRANCESCO a sedere con il bastone, in piedi alle sue spalle il ragazzo in borghese dovrebbe essere EUGENIO con a fianco RAFFAELE già allora in alta uniforme. A fianco di Raffaele quasi certamente la moglie ANTONIETTA CHIOZZA, certo non Maria Laura, la sorella più grande che aveva già preso la strada del convento.

Di fianco a Francesco due donne: la centrale più anziana è di sicuro la madre MARIA ROSARIA trasferitasi con Francesco da Marzi a Castellammare e quella di lato è la moglie CONCETTA.

In basso due dei tre fratelli nati a Castellammare. Sono molto somiglianti, ma secondo mio zio suo padre SILVIO era quello di destra con la giacca a quadretti e, quindi, quello di sinistra è UMBERTO (di due anni più piccolo). Mancherebbe quindi ADOLFO.

Chissà perchè, come mi riferisce Marco e come mi aveva riferito Silvio, sul retro c'è la scritta in francese "Famille Limarzi".

domenica 16 gennaio 2011

EUGENIO GIUSEPPE LIMARZI

EUGENIO GIUSEPPE LIMARZI è il terzo figlio di FRANCESCO, nato a Marzi il 25 gennaio 1862.

Questa data non è poi così un dettaglio in quanto rappresenta uno spartiacque molto importante per la nostra storia: è l’ultima traccia in assoluto di Francesco a Marzi. Potrebbe oltretutto essere una traccia per così dire "postuma" in quanto egli, a mio parere, si era già allontanato lasciando a Marzi la sua Giovanna per seguire Garibaldi nella sua battaglia per l'Unità d'Italia.
Con questa nascita in ogni caso, la famiglia scompare completamente dalle anagrafi, dai testi e dalle cronache per un lungo periodo e “ricompare” quasi all'improvviso nel 1872, con la nascita di Egidio a Castellammare di Stabia.
Ma di questo abbiamo parlato abbondantemente nei post dedicati alla vita di Francesco. Quello che invece ci interessa in questa sede è constatare che, per quello che riguarda il nostro ramo, Eugenio è l’ultimo dei Limarzi di Marzi. Con lui la nostra storia si separa dal paese che ci ha dato le origini e il cognome.

Un'altra considerazione riguarda il suo nome, completamente "anomalo" per la nostra famiglia che era caratterizzata (come tutte le famiglie dell'epoca fra l'altro) da una ripetitività quasi ossessiva quando si trattave di battezzare i nuovi nati. Il primogenito doveva prendere il nome del nonno paterno, la primogenita quello della nonna paterna o, al limite di una zia, i rimanenti prendevano quasi sempre il nome di componenti della famiglia del padre. Solo fra questi ultimi, raramente, si poteva trovare qualche concessione verso la famiglia materna.
Stavolta invece c'era un nome che esulava da questi schemi. Certo non del tutto. Trattandosi di un nome composto li seguiva solo in parte: Giuseppe era il nome di un fratello e di uno zio di Francesco, ma da dove usciva Eugenio? Prima di allora nessuno in famiglia si era mai chiamato così. La mia idea ben precisa è che si sia trattato di una dedica al "compagno di rivoluzione" di Francesco, Eugenio Tano, anche lui garibaldino, che fu un protagonista di primissimo piano nella sommossa calabrese contro i Borboni. Tutto depone a favore di questa tesi a cominciare dalla evidente coincidenza temporale. Eugenio è stato concepito nel pieno dei fermenti e delle lotte che, nel 1861, videro nascere la nosta Nazione. E se Francesco sarebbe in seguito passato dalle armi alla poesia, Eugenio Tano, di tre anni più giovane e introdotto all'arte dal padre Carlo, divenne  pittore e artista affermatissimo. Anche di lui parliamo diffusamente nel capitolo Francesco e l'unità d'Italia.


E in più dobbiamo prendere atto anche di un altra coincidenza. Forse il suo destino stava già scritto nel nome, o forse chissà, ma sta di fatto che anche il nostro Eugenio divenne anch'egli un pittore. E casuale non deve essere stato nemmeno l'accanimento con il quale Francesco ha instradato e incoraggiato il figlio a perseverare su questa strada.

Anche le tracce di Eugenio, comunque, si persero nei meandri del fermento che ripercorreva un’Italia in quegli anni.
Il filo della sua storia si riannoda solo nel 1880 anno in cui, appena diciottenne, partecipò con alcune sue opere alla Esposizione dell'Istituto delle Belle Arti di Napoli (istituto di cui era studente). Successivamente proseguì i suoi studi a Roma (sempre nell'omologo Istituto di Belle Arti) e nella capitale partecipò alla ben più prestigiosa Esposizione Nazionale di Roma del 1883 con due opere dal titolo "La vita nel villaggio" e "Non vi è frutta senza fiori". Sono sicuro che questi dipinti sono ancora da qualche parte.






Accadde poi che nel luglio 1885, proprio mentre la formazione pittorica di Eugenio stava fiorendo, scese a Castellammare uno dei maestri della pittura napoletana e italiana del tempo, Domenico Morelli. La cosa mise in grande fermento gli ambienti della cultura locale e Francesco capì subito che non era il caso di farsi sfuggire l'occasione. Assieme ad un gruppo di amici, in una calda serata d’estate, fece visita all'artista al quale mostrò alcuni bozzetti del figlio. Quello che accadde quella sera non sarebbe certo mai arrivato alla nostra conoscenza se, per avventura, la cronaca di quella serata, non fosse finita addirittura in un libro. Precisamente finì in una raccolta di racconti stabiani di Piero Girace con il titolo “Una serata nella villa di Morelli” (racconto che pubblico integralmente in altra parte del sito) che cominciava così:
“Castellammare ha una giocondità giovanile: gioconde le sue case vestite di rosa e di bianco; festose le sue strade piene di gente allegra e spaesata.”


Il racconto testimonia quanto Eugenio avesse mostrato, sin da giovanissimo, una forte inclinazione per l’arte e quanto questa sua inclinazione sia stata sempre fortemente incoraggiata dal padre:
“Questo suo figlio ha una vera vocazione per la pittura; tutto il santo giorno non fa che disegnare a penna, a lapis su di ogni pezzo di carta che trova in casa.”
Francesco usava accogliere di buon grado il ragazzo nel proprio studio di verificatore metrico. Qui poteva trovare i grandi fogli necessari e si sbizzarriva a “schizzar paesaggetti e figurine”.
Ed è un concetto, questo, che sottolineo fortemente perché si tratta di una cosa che si verifica raramente anche ai giorni nostri, figuriamoci nel meridione d’Italia di fine ‘800! Quanti genitori, anche oggi, avrebbero detto ad Eugenio di lasciar perdere e di cercarsi un lavoro che gli avesse dato da mangiare?

Quella sera invece, proprio trascinato dalla foga ancora giovanile del padre, e dalla sua lungimiranza Eugenio se ne stava un po’ imbarazzato al cospetto di quello che, come racconteranno le sue biografie, sarebbe diventato il suo maestro: l’affermatissimo pittore, nonché futuro senatore del Regno, Domenico Morelli. Ma il più emozionato di tutti era proprio lui, suo padre, che ne attendeva trepidante il giudizio in merito ad alcuni lavori del figlio che aveva portato con sé. Giudizio che fu, fortunatamente, positivo:

Si è fatto tardi.
Il Verificatore metrico si fa coraggio alla fine e dice a Morelli:
— Maestro, vorrei farvi vedere i lavori di questo ragazzo.
Ed indica il giovinetto, che se ne sta lì, mezzo stordito.
— Sì, fatemeli vedere.
Allora il professor Limarzi, raggiante, spiega i grandi rotoli e li porge al Maestro.
Sono paesaggi, figure, fatti a penna ed a lapis.
Sussegue un religioso silenzio. Morelli osserva le carte spiegate davanti a lui.
Il Verificatore metrico attende ansioso. Infine dice: — Che ve ne pare? Che ve ne pare?
Morelli carezza l’artista adolescente che sta accanto a lui con il volto compunto e gli occhi abbassati, poi con un sereno sorriso risponde:
— Non c’è male. Per la sua età è già molto. Il giovane ha molte attitudini. Deve però lavorare ancora; lavorar molto e studiar molto.
Il Verificatore, soddisfatto ripiega i rotoli, e chiede al Maestro se è il caso di far continuare il ragazzo su quella strada.
— Bisogna farlo continuare — risponde Morelli. — II giovane ha molte attitudini.”



Quella sera è nato un pittore e lo si deve certamente alle attitudini artistiche di Eugenio, ma anche a suo padre Francesco che nonostante la sua “aria da brigante silano”, nonostante il suo aspetto alto, erculeo, rumoroso” era “letterato finissimo” e, aggiungo io, grande uomo di cultura.

Eugenio di Morelli divenne successivamente allievo, partecipò, di nuovo a Napoli, alle esposizioni del 1886 e 1887, ma poi, sarebbe bello sapere il perché, nel 1888 o 1889 (qui le due biografie che ho rintracciato discordano) si trasferì in Argentina e più precisamente a Buenos Aires.
Qui la sua carriera decollò sia come docente, sia come artista.



Come docente insegnò al Colegio Nacional de Buenos Aires e al Colegio Nacional Carlo Pellegrini. Nel 1901 fondò assieme a José Bouchet la Academia de Bellas Artes para senoritas dove recita una biografia “le signorine delle principali famiglie accorrevano per prendere lezioni”. Collaborò a diverse pubblicazioni nel paese.

Come artista venne premiato più volte in esposizioni sia italiane che straniere ove riscosse un certo successo. Nel “Dizionario Biografico degli Italiani al Plata” (qui sotto riportato), edito a Buenos Aires nel 1899 di Eugenio viene affermato che “è decoro dell’arte italiana nella colta metropoli argentina”.

Attualmente ci sono diversi pittori contemporanei in Argentina che vengono definiti, nelle rispettive biografie, allievi del maestro Eugenio Limarzi che viene a volte citato come “gran pintor Napoletano”.

Sue opere sono custodite ed esposte a Buenos Aires al Colegio Militar de la Nacion, al Colegio Nacional, alla Facoltà di Medicina e all’Accademia di Medicina.
Nelle sale del MUMA (Museo Municipal de Arte – Junin – Buenos Aires) è esposta un’opera di Spizzo Liberato dal titolo “El maestro Eugenio Limarzi” - 33X26 - 1945 – che a mio parere è quasi certamente un suo ritratto (purtroppo nel catalogo che ho rintracciato on-line non ce n'è la riproduzione). Una sua tela è stata esposta al Terzo Salone di Mar del Plata.

Fra le sue opere che sono riuscito a rintracciare ci sono queste due che pubblico qui di seguito:

RITRATTO DI DOMINGO FAUSTINO SARMIENTO (anno 1935 - 296 x 200)
E' un'opera dalle dimensioni imponenti che fa parte del patrimonio storico e culturale del il Colegio Militar de la Nacion ove è esposta nella sala delle armature. E’ un ritratto postumo, dipinto nel 1935, di Domingo Faustino Sarmiento che, per la cronaca, non è un proprio un soggetto qualunque, visto che si tratta del Presidente dell’Argentina che è stato in carica dal 1868 al 1874.


Eugenio Limarzi - Ritratto di Domingo Faustino Sarmiento  - 1935
2,96 x 2 - Colegio Militar de la Nacion - Hall Armaduras - Buenos Aires

LOS CARDOS (anno sconosciuto - cm 55 x 66)
Opera che è entrata a far parde del programma intrapreso dal governo argentino per il recupero dei beni culturali del paese.



Questo è quello che sono riuscito a mettere assieme di Eugenio con i miei mezzi. Spero che, leggendo questo post, i Limarzi argentini mi possano dare un qualche aiuto in più…

Un dato comunque è certo: quel timido ragazzo dell’incontro a Villa Morelli un bel po’ di strada ne ha fatta. Non solo perchè da Castellammare a Buenos Aires i chilometri sono tanti, ma ancora di più perchè lungo e impervio deve essere stato il percorso che è partito da quegli schizzi nello studio del padre e che lo ha portato a diventare un pittore affermato.


Eugenio mentre dipinge a Cordoba nel 1934
Ormai manca dall'Italia da più di 40 anni, i capelli sono diventati bianchi ma, ciò nonostante,  non ha dimenticato il fratello Silvio al quale invia una foto. Fa sorridere  e intenerisce la dedica: "sono io in campagna...": il tempo si dilata, non ci si vede più da tempo immemorabile e ci si sente in dovere di specificarlo anche ad un fratello. Altrimente si rischia di non venire riconosciuti...
(foto pervenuta da Marco Limarzi - Le altre due pubblicate in questo post sono pervenute da Silvio Limarzi '51)

Al di là di ogni altra considerazione però, la mia convinzione è che quello che per Eugenio è più contato nella vita sia stato l'avere avuto la possibilità di viverla facendo ciò che più lo appassionava. E, per questo, sono certo che, mentre se ne stava a dipingere in silenzio, a migliaia di chilometri di distanza dai luighi dove era nato, con l'unica compagnia dei suoi amati pennelli, abbia più volte ringraziato il Cielo per avergli dato un padre come Francesco.

Eugenio morì a Buenos Aires a 86 anni, il 18 ottobre 1948. Risalire a tale data è stoto piuttosto complicato visto che nelle sue biografie c'erano date completamente discordanti, ma è senz'altro questa. Se non bastasse la fonte assolutamente autorevole (la "Gran Enciclopedia Argentina") dalla quale l'ho tratta, potremmo trovarne ulteriore conferma nel fatto che nel 1949 alcuni suoi amici organizzarono, assieme ai suoi alunni, una mostra commemorativa in occasione del primo anniversario della sua scomparsa.


TESTO INTEGRALE DELLA NOTA BIOGRAFICA DI EUGENIO CONTENUTA NEL "DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI AL PLATA"





SILVIO LIMARZI

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lunedì 10 gennaio 2011

FRANCESCO LIMARZI

FRANCESCO LIMARZI nacque a Catanzaro il 3 febbraio 1837, figlio di RAFFAELE LIMARZI e MARIA ROSARIA COSTANZO e morì a Castellamare di Stabia (Na) il 28 marzo 1908.

Questi dati anagrafici in realtà non hanno molto a che fare con le radici di Francesco che erano, come ci ricorda inequivocabilmente il cognome, di Marzi, un paese situato a poco più di 500 metri di altitudine, nel profondo della Calabria a pochi chilometri di distanza da Cosenza. Da qui provenivano entrambi i suoi genitori e qui, ancora in fasce (dopo pochi mesi dalla nascita), ritornò a vivere.

Aveva diversi fratelli e sorelle una delle quali (Filomena) visse solo pochi mesi.
Nella Calabria di 200 anni fa, purtroppo, passare indenni dai primi anni di vita era una piccola impresa... Più volte in queste mie ricerche mi sono imbattuto in famiglie numerose dove due o addirittura tre figli portavano lo stesso nome. Spesso, infatti, i genitori davano al nuovo nato il nome di un precedente fratellino defunto, quasi a restituirgli un pò della vita che gli era stata prematuramente tolta.

In questa Calabria e nella sua Marzi Francesco Filippo Ignazio Filomeno Limarzi vinse la sua prima scommessa: quella di crescere. A 21 anni era già un uomo fatto con un mestiere di “agrimensore” pronto per sposare la sua conterranea GIOVANNA ALTOMARE ("gentildonna" recita il certificato di matrimonio) il 19 luglio 1857.

La coppia ebbe 7 figli. Tre nati a Marzi: MARIA LAURA, RAFFAELE ed EUGENIO GIUSEPPE poi, probabilmente per motivi legati alla sua professione, si trasferì a Castellammare di Stabia dove ebbe gli altri 4: EGIDIO, ADOLFO, UMBERTO e SILVIO (mio nonno) nato il 21/04/1876.
Francesco, uomo possente e con una fluente barba bianca, era dotato sicuramente di una grandissima cultura e appassionato di letteratura. Tradusse prima tre canti e poi l'intero Paradiso della Divina Commedia in dialetto Calabrese e lo pubblicò a Castellamare nel 1874 (Tipografie Stabiane). L'opera è a tutt'oggi conservata in numerose biblioteche italiane ed internazionali ed è spesso citata come esempio di divulgazione della cultura calabrese. Nel paese di Marzi gli è stata intitolata una via e compare nel sito del comune fra i "Marzesi Illustri".
L'influenza di un padre del genere ebbe indubbiamente una importanza fondamentale per la crescita dei figli che, cosa del tutto anomala per quei luoghi e quell'epoca, ricevettero dal destino la possibilità di dare libero sfogo alle proprie aspirazioni. E lo fecero intraprendendo strade completamente diverse fra loro:

- MARIA LAURA (Marzi 20/08/1858): entrò in convento e si fece suora. Morì in circostanze drammatiche a causa di un incidente con un treno: le ferite riportate degenerarono in cancrena;
RAFFAELE (Marzi 07/03/1860): si trasferì a Bologna ove divenne colonnello dell'Esercito Italiano;

- EUGENIO GIUSEPPE (Marzi 25/01/1862 - Buenos Aires 19/10/1948): frequentò l'Accademia delle Belle Arti e, una volta emigrato in Argentina, diventò un pittore di una certa fama;
- EGIDIO (Castellammare 26/02/1872 - Castellammare 13/12/1872): la vita di Egidio Catello Limarzi durò solo 10 mesi dal febbraio al dicembre 1872. Il suo secondo nome era, nelle intenzioni di Francesco, un omaggio alla nuova città che lo aveva accolto: San Catello è il patrono di Castellammare di Stabia;
- ADOLFO (Castellammare 08/10/1873 - Castellammare 01/11/1956) diventò avvocato e rimase a Castellammare di Stabia;
SILVIO (Castellammare 21/04/1876 - Meldola 09/07/1950): si trasferì in Romagna dove esercitò per anni la professione di Medico;
-  UMBERTO (Castellammare 14/11/1878): di lui sappiamo molto poco. Sappiamo che era ingegnere e professore. Le sue tracce finiscono a Roma, città verso la quale, come ricorda mio padre, partivano da casa sua a Meldola, delle lettere indirizzate a quello sconosciuto zio che si chiamava come lui.
Un avvocato, un medico, una suora, un ingegnere, un artista e un colonnello. Arti e mestieri, sacro e profano, guerra e pace. Un buon assortimento insomma che si è mantenuto nelle generazioni che hanno seguito.

Queste sono le mie origini. Qualche Limarzi in giro per il mondo ha voglia di parlarmi della sue? Sono sicuro che riusciremo a scoprire che abbiamo molto più di una cosa in comune.


SILVIO LIMARZI



P.S.: a proposito di mestieri d'altri tempi ecco cosa viene fuori dal dizionario:

agrimensura[a-gri-men-sù-ra]
s.f.
Ramo della topografia che ha per oggetto la misurazione di campi o terreni, la loro descrizione cartografica, la loro stima, le rettificazioni di confini ecc.

gentildonna[gen-til-dòn-na]
s.f.
Donna di nobile origine o elevata condizione sociale.
Donna d'animo nobile e di modi raffinati
Un pò come Giovanna Altomare (Rogliano 20/10/1837 - Castellammare 28/04/1904)
(foto inviatami dal cugino Silvio Limarzi)

LINK COLLEGATI (cliccare per un accesso diretto)


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venerdì 7 gennaio 2011

ADOLFO LIMARZI

Post riaggiornato il 19/01/2010. Integrato con i dati inviati da Pablo Limarzi, nipote di Mario.

ADOLFO LIMARZI era il quinto figlio di Francesco. Nato a Castellammare l'8/10/1873 venne battezzato anche con il nome di quello che tre anni più tardi sarebbe stato di suo fratello (Silvio) e con un altisonante terzo nome (Aristodemo).

Di lui so poco più di quello che risulta dalle carte. So ad esempio che era il fratello più legato a Silvio. Del resto erano quelli più vicini come età e quelli che sono stati più assieme, visto che hanno vissuto entrambi a Castellammare fino al 1911 quando Silvio prese la strada della Romagna.
Adolfo invece rimase nel suo paese natale, ma i due non persero mai i contatti. Testimonianza ne è un fatto accaduto molti anni dopo la partenza di Silvio: attorno al 1943 un nipote di Adolfo, il tredicenne Antonio (figlio di Irma) si ammalò di febbre maltese e allora la famiglia decise di mandare il piccolo a Meldola. Questo un po’ per “cambiare aria” (come si faceva allora per gli ammalati di queste patologie) e un po’ perché, probabilmente, venisse meglio seguito dal fratello medico.
Ma, cosa facilmente immaginabile, quelli erano anni terribilmente complicati. Le truppe alleate da poco sbarcate in Sicilia stavano risalendo la penisola nel loro percorso di liberazione del nostro Paese. Ma la loro risalita stava progressivamente spezzando l’Italia due. Adolfo fu perciò costretto in fretta e furia a salire a Meldola per recuperare il nipote prima che le truppe alleate entrassero in Napoli. Se non fosse arrivato in tempo il piccolo sarebbe rimasto separato dalla famiglia per chissà quanto.
Fu quella la prima e unica volta che mio padre, allora adolescente, vide “lo zio Adolfo” ma, dopo quasi 70 anni, se ne ricorda ancora. Qualche giorno fa mi ha detto: “Era uguale al babbo. Proprio come lui: piccolo ma distinto”.
Per la cronaca Adolfo fece in tempo e il piccolo Antonio, che di cognome faceva Gava, non solo guarì perfettamente, ma fece un bel pò di strada come ricorderò più avanti nelle note biografiche di Irma.

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- NOTA AGGIUNTIVA DEL 23/01/2011 -
Con mia grande sorpresa ho appena ritrovato il medesimo racconto di quella venuta a Meldola nell'autobiografia di Antonio Gava "IL CERTO E IL NEGATO" scritta a quattro mani con il nipote Giancarlo. Il racconto differisce in qualche particolare e nel fatto che Antonio ricorda che a venirlo a prendere fu il padre e non il nonno Adolfo, ma parla diffusamente di quel suo soggiorno dallo "zio Silvio" che, quando ci si ritrovava alla sera, spiegava anche a loro bambini quello che stava accadendo nel sud d'Italia sia militarmente che politicamente. Ricorda anche la notte prima della sua ripartenza per Castellammare nella quale Adolfo e Silvio discutevano sul da farsi e Silvio stesso tentò invano di convincere fratello e nipote a rimanere.
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Adolfo a Castellammare esercitò la professione di avvocato e, successivamente, di Segretario Comunale. Qui nell’ultimo anno del secolo il 15/06/1899 sposò la coetanea e compaesana Livia Maglio.
ATTO DI MATRIMONIO DI ADOLFO E LIVIA
(cliccare sull'immagine per ingrandirla)

Adolfo e Livia andarono a vivere a pochi passi dal mare in Via Alvino, 8 ed ebbero 7 figli:
- IRMA (Castellammare 08/08/1900 – Castellammare 09/11/1973)
Rimase sempre a Castellamare. Sposò Silvio Gava al quale diede 8 figli: Antonio, Rosario, Laura, Livia, Maria, Gianni, Roberto e Anna. Il marito Silvio e il figlio Antonio furono entrambi, in epoche successive, Ministri della Repubblica ed importanti esponenti DC.

- MARIO (Castellammare 02/11/1902 – Buenos Aires 1982)
Prima si trasferì a Milano dove il 2/09/1926 sposò Maria Albani ed ebbe 4 figli (Renato, Augusto, Elvira e Raffaello).
Poi conobbe Wolfrana Elsa Branchini e con lei si spostò in Francia ove la coppia (precisamente a Saint Martin de Valamais - Nizza), il 23/04/1944, ebbe un figlio di nome Gilberto. In seguito la coppia si trasferì, assieme al figlio, in Argentina: qui ebbero un'altra figlia che però purtroppo morì precocemente.
Gilberto invece ha avuto tre figli che hanno portato un pò di spagnolo nei nomi della famiglia (Pablo Marcelo, Gustavo Alejandro e Martin Javier) e anche tanti piccoli nuovi Limarzi. Questo, assieme appunto a quello di Eugenio, rappresenta il nostro ramo argentino.

- ARTURO (Castellammare 11/02/1905 – deceduto alla nascita)
- GIOVANNINA (Castellammare 1906 – Castellammare 19/09/1920)
- ALBERTO (Castellammare 04/07/1908 – deceduto alla nascita)
Come sì può intuire, per Adolfo e Livia i nomi di questi figli non sono legati a momenti felici. Nell’indice delle nascite di Castellammare alla riga che si riferisce alla nascita di Alberto c’è una annotazione a penna piuttosto eloquente: “non vivo”. In quella di Arturo una altrettanto triste: “nato morto”.
Mi sono chiesto, ma solo per un attimo, se era in caso di inserire i loro nomi che evocano un così triste evento. E' stata una esitazione dettata da una sorta di rispetto, ma alla fine non ho proprio avuto nessun dubbio: non l’ho avuto pensando ad Adolfo che, come testimoniano le sue firme autografe, se ne era andato, non so con che spirito ma caparbiamente, negli uffici comunali a denunciarne la nascita (credo che ai tempi fosse molto più semplice non farlo). In particolare nel certificato del 1905 di Arturo c’è una annotazione a penna che recita testualmente: “…è nato un bambino di sesso maschile che egli (il padre) mi presenta e a cui da il nome di Arturo, e che io riconosco di essere senza vita”.
Personalmente non credo che effettivamente avesse con sé Arturo, penso di più ad una formula di rito, ma è una cosa che fa comunque riflettere.
Ancora di più ho pensato a quei due genitori mentre davano un nome a questi due bimbi che nemmeno respiravano. Se l’hanno fatto è stato anche perché volevano che questi fossero ricordati.

Destino leggermente diverso, ma non meno triste, per Giovannina, che se n’è andata a 14 anni, ennesimo luttuoso capitolo per i Limarzi nati in quel ristretto numero di anni (non dimentichiamoci di Francesco – figlio di Silvio – nato nel 1908 anche lui morto diciannovenne). Per fortuna negli anni successivi il destino ha restituito qualcosa….

- GIUSEPPE (Castellammare 29/06/1911 – Washington 19/08/1985)
Si trasferì a Washington ove lavorò nell’Ambasciata Italiana presso gli Stati Uniti. Sposò Olga De Nicola ed ebbe 4 figli: Tullia, Adolfo, Livia e Maria. Questo invece rappresenta uno dei rami dei Limarzi d’America che ho potuto scoprire in questi giorni attraverso qualche contatto diretto. Un ramo allegro, unito e vitale che non ha proprio dimenticato le proprie origini.

- ARMANDO (Castellammare 25/05/1918 – Napoli 17/07/2003)
Inizialmente dei discendenti di Armando sapevo ben poco, per non dire nulla. Unica, scarna notizia su di lui è riferita era la sua presenza negli annali 1931 -1943 del 4’ Stormo dell’Aereonautica Militare di Gorizia. Poi, attraverso un commento rilasciato da un parente visitatore di questo blog, ho scoperto che si sposò con Ida dalla quale ebbe due figli: Adriana e Guglielmo.

Adolfo morì nella sua Castellammare di Stabia l'1/11/1956.

Una precisazione che ho fatto per mio nonno Silvio e che, a maggior ragione rifaccio per Adolfo: mi scuso per le imperfezioni se ce ne sono. Ho cercato di riportare con attenzione solo le cose delle quali sono certo, spero di esserci riuscito. Vale per questo e per tutto quello che scriverò qui: lungi da me la pretesa di voler imporre una mia personale storia: il mio unico obiettivo è riuscire a scoprire QUAL E’ la nostra storia. Questo con l’aiuto di chiunque voglia contribuire!


Silvio



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