“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

venerdì 22 gennaio 2016

NICOLO' LI MARZI

A Marzi nella metà del '700, secondo lo stato delle anime redatto dai parroci delle sue chiese, vivevano poco meno di 2.000 abitanti (1945 per l'esattezza). Si tratta di un numero considerevole se rapportato ai circa 1.550 che vivevano nel paese nel 1861, anno dell'unità d'Italia, e ancor più se paragonato ai neanche 1.000 attuali.
L'età media era clamorosamente bassa (attorno ai 26 anni) ed era la diretta conseguenza del fatto che quasi la metà della popolazione aveva meno di 20 anni. Un paese giovane quindi, ma non c'era nulla di buono in tutto questo. A Marzi, semplicemente, era piuttosto difficile diventare vecchi.
Il suo tessuto sociale, infatti, versava in uno stato di arretratezza piuttosto pesante che, del resto, caratterizzava all'epoca l'intero meridione d'Italia. Tutto questo, oltretutto, era significativamente aggravato dalla totale assenza di vie di comunicazione che poneva il paese in uno stato di potenziale isolamento.
Il centro urbano era caratterizzato da tante piccole abitazioni affastellate una sull'altra, in totale assenza di rete fognaria e con strade e vicoli nei quali scorrevano liquami maleodoranti. Le già precarie condizioni igieniche erano ulteriormente messe a dura prova dalla presenza di numerosi animali, necessari per la sopravvivenza alimentare delle famiglie, che venivano ricoverati ai piani inferiori o nei seminterrati delle case e la cui promiscuità con le persone era, di conseguenza, inevitabile.
Tutto attorno, nelle campagne scoscese e difficili da lavorare e in luoghi impervi, c'erano i cosiddetti casali che in epoche antiche avevano rappresentato l'embrione della Marzi primordiale. Secondo le teorie storiche prevalenti, infatti, fu da questo universo di case sparse che nacque il primo agglomerato urbano che ha portato al formarsi del paese.
L'agricoltura assieme alla pastorizia ne erano il centro della vita economica con colture costituite prevalentemente da viti, gelsi (necessari per nutrire i bachi dai quali si estraeva la seta), castagni e querce. Solo dove le pendenze lo consentivano c'erano appezzamenti dedicati a cereali e ad alberi da frutto, mentre le terre rimanenti erano destinate al pascolo.
Assieme all'agricoltura e la pastorizia il terzo asse portante sul quale si fondava l'economia locale era l'artigianato: moltissimi erano gli scalpellini e gli intagliatori la cui abilità era piuttosto conosciuta nella zona e che è ancora testimoniata ai giorni nostri dalla presenza di bellissimi portali nelle case più antiche del paese. 

E' in questo contesto che anche a Marzi venne redatto il Catasto Onciario, una sorta di censimento demografico, sociale e religioso voluto da re Carlo di Borbone nell'intero Regno di Napoli e di Sicilia che ci restituisce una affascinante e dettagliata fotografia del meridione italiano del '700.
Pur considerando che il suo scopo non era propriamente filantropico (si trattava di fatto di una gigantesca riforma tributaria volta ad aumentare le entrate fiscali),  l'opera era, a mio parere, di una assoluta lungimiranza. Innanzitutto spostava la tassazione dalle persone in quanto tali (secondo il principio che ad ogni "testa" dovesse associarsi una tassa) alle loro reali ricchezze. Ma non è solo questo: il metodo del catasto andava oltre, prevedendo un vero e proprio primordiale sistema di detrazioni secondo il quale i "pesi" delle famiglie stesse (debiti, spese per affitto, offerte alle chiese) andavano a ridurne la ricchezza imponibile.
A questo si affiancava un timido accenno di tutela sociale che prevedeva la non tassazione degli individui che per età o per condizioni di salute non potevano lavorare e, di conseguenza, produrre reddito. Certo il tutto va contestualizzato con gli usi, i costumi ed il linguaggio del tempo, visto che non è infrequente trovare di fianco al nome e cognome della persona inabile le diciture "scemo", "stroppio", "decrepito", "difettoso" e via dicendo.
In conclusione di tutto ciò va comunque colto in positivo il tentativo di rendere il fisco un minimo più equo pur avendo ben presente che si trattava solo di un piccolo e timido passo in questa direzione in quanto si era ben lungi dal ridurre i giganteschi squilibri sociali e gli spropositati privilegi che caratterizzavano le classi più abbienti (ad es. i feudatari) in quei luoghi ed in quei tempi.

Nel nostro paese di origine il Catasto venne completato nell'estate dell'anno del Signore 1753 e trascritto in due copie, tutt'ora esistenti, che sono oggi custodite rispettivamente presso l'Archivio di Stato di Cosenza e presso l'Archivio di Stato di Napoli. Impossibile non rimanere affascinati da tale opera le cui pagine, rilegate in volumi di grandissimo formato, si aprono con la seguente introduzione:


La copia di Cosenza è stata completamente digitalizzata ed è reperibile nel sito curato dal Archivio Stato (clicca qui per l'accesso).

Il tutto, oltre ad offrirci uno spaccato della Marzi del '700 assolutamente illuminante, finisce inevitabilmente con il restituirci un pezzo fondamentale della storia della nostra famiglia che in questo luogo affonda le radici. In particolare le pagine che ci interessano sono tre e sono quelle relative a NICOLO' LI MARZI:





Vediamo di sfogliarle assieme:

NICOLO' (LI) MARZI (1702 - 1769)
Il copofamiglia - Figlio di Cesare Li Marzi e di Maria Golia. E' l'avo diretto di tutti gli appartenenti al mio ramo famigliare e di quello di Bruno. Chi ha dei dubbi sulla sua collocazione può toglierseli cliccando su "ALBERO GENEALOGICO"
Non deve preoccupare l'assenza del prefisso "Li". Come già abbondantemente spiegato (vedi "Considerazioni sul nostro cognome") questo, in antichità era considerato come una semplice e poco importante appendice che sovente, nei testi ufficiali e quelli in latino, era omessa.
Considerando che lo scritto risale al 1753, Nicolò "di anni 48" sarebbe quindi nato attorno al 1705. Indicazione leggermente difforme ci fornisce il suo atto di morte, datato 20/12/1769 che reca la dicitura "di anni 67" e che quindi anticiperebbe la nascita al 1702. Ritengo più vicina alla realtà questa seconda indicazione.

Nicolò, persona molto attiva e conosciuta in paese, era un vero capo famiglia sia per quanto riguarda l'istruzione ed il sostentamento economico dei figli, sia per quanto riguarda la gestione dei matrimoni e la costituzione della dote delle sorelle Barbara e Flaminia. Era inoltre membro influente del parlamento cittadino di Marzi. Ciò ci viene confermato proprio dal verbale della seduta di tale organismo che lo annovera fra i deputati presenti quando, il 22 giugno 1753, sì dà il via alle operazioni per la compilazione del catasto onciario in paese.

FELICE CALABRESE (1721 - 1766)
La moglie - La prima considerazione che sorge è che, al contrario di oggi, il nome "Felice" era ai tempi destinato al sesso femminile e spesso era equiparato all'ugualmente diffuso "Felicia". Felice era una giovane ragazza di 17, al massimo 18 anni quando, attorno al 1738/39, sposò Nicolò di ben 16 anni più grande e diede alla luce Vincenzo, il primo figlio. Nonostante la sua più giovane età,  morì nel 1766, cioè tre anni prima del marito, a soli 45 anni.

VINCENZO (1739 - 1772)
Il primogenito - Nostro avo diretto (vedi "Una Famiglia"). Uno dei rarissimi "scolari" di Marzi a testimonianza della relativa agiatezza della famiglia. Stranamente non porta il nome del padre di Nicolò (come da usanza quasi universale dell'epoca), bensì quello dello zio Vincenzo che di Nicolò era fratello. Proviene quindi da qui la lunga tradizione che, dopo avere attraversato tre secoli, è giunta sino ai giorni nostri e che vede l'imposizione del nome "Vincenzo" a numerosissimi appartenenti al ramo di Bruno.

ANTONIA (1743 - 1811)
La primogenita - La prima figlia femmina di Nicolò sposò in seguito Marco Calabrese. Il suo ramo proseguì quindi con questo cognome.

CESARE (1745 - 1797)
L'omaggio al padre - Ecco, seppur in ritardo, il tradizionale tributo al nome dell'avo paterno. Forse ciò è dovuto al fatto che la sua nascita avviene in un arco temporale molto vicino a quello della morte dell'omonimo padre di Nicolò.
Dal suo matrimonio con Fortunata Oliveto nasceranno tutte femmine e un figlio maschio che morirà piuttosto giovane (a 34 anni) e prima di sposarsi. Anche questo ramo, quindi, per quanto riguarda i Li Marzi è da considerarsi estinto.

NUNZIATA (1751 - ?)
La figlia smarrita - Di Nunziata si sono ben presto perse le tracce, forse in seguito ad una morte prematura. Qualsiasi sia stato il suo destino non sono stato in grado di scoprire quale strada abbia preso.

LUNA PERRI
La nutrice - La presenza della nutrice, è un'altra evidente testimonianza dell'agiatezza della famiglia. I Perri erano anche i vicini di casa di Nicolò (il che si evince da questo e da altri documenti del catasto onciario) ed è facile ipotizzare perciò che Luna venisse proprio da questa famiglia limitrofa. I suoi servizi erano certamente stati preziosi nella crescita della piccola Nunziata e, probabilmente, lo furono anche per i successivi nati.

DOPO IL 1753
Gli anni dopo il catasto - Dopo la redazione del Catasto Onciario e quindi per forza di cose non riportati nel documento, nacquero da Nicolò e Felice altri due figli: BARBARA (1754-1816) e BRUNO (1755-1812).
Barbara sposò Vincenzo Calabrese e anche il suo ramo quindi prosegui con quel cognome (lo stesso del marito della sorella Antonia, chissà se i due cognati erano uniti da legami di parentela).
Del ramo di Bruno che, al contrario avrebbe potuto far sopravvivere il cognome, non ho trovato propaggini giunte ai giorni nostri. Pur non avendone la certezza penso di poter dire che lo stesso si possa considerare estinto anche se, dal matrimonio di Bruno con Barbara Tucci, nacque un figlio maschio di nome Filippo Li Marzi che, a sua volta, ebbe nella prima metà dell'800 diversi figli maschi.


"IN PIEDE CASALE"
Il luogo - C'è una zona di Marzi che nel Catasto del 1753 viene ricordata come "in Piede Casale" Si tratta di un toponimo viene conservato ancora oggi (via Impedicasali). Qui viveva gran parte della piccola comunità dei Li Marzi del paese. Ciò induce a pensare che quei pochissimi nuclei famigliari che portavano questo cognome fossero a loro volta imparentati fra di loro. Si erano, a mio parere, create due piccole comunità raggruppate in edifici adiacenti: una nella parte bassa della via ed una nella parte alta.
Ed è nella parte bassa (quella in cui le case conservano ancora oggi dei bellissimi orti di pertinenza racchiusi nelle proprie cinte murarie) che risiedeva Nicolò la cui casa viene infatti definita nel catasto "con orticello contiguo".
Questo dettaglio, unito al fatto che, come già detto, la stessa fosse confinante con quella di Fenice Perri ci indica con chiarezza la collocazione a Marzi della casa dei nostri avi. Fenice Perri viveva infatti in "Ruga Delli Vaccari" e, quindi, Nicolò doveva per forza abitare in quel gruppo di 3 o 4 case che affacciavano su via Impedicasali ed il cui retro si rivolgeva verso Ruga Delli Vaccari.

Per maggiore chiarezza (anche se mi rendo conto che la cosa possa aiutare solo chi conosce Marzi) pubblico qui di seguito una foto dove viene indicata, all'interno del cerchio di colore rosso, la zona che ho appena descritto. Cliccandoci sopra c'è la possibilità di ingrandirla.

Fonte: Google Maps

MULATTIERE
Il mestiere - Nicolò faceva il mulattiere. Un mestiere umile, marginale e poco redditizio si potrebbe pensare ma, nella metà del '700, in quella valle selvaggia e senza vie di comunicazione che era la Valle del Savuto, non lo era affatto.

Tanto per rendere l'idea fu poco più a sud, in quella stessa valle, che trovò la morte Isabella d'Aragona, regina di Francia e moglie del re Filippo III. Secondo le cronache del tempo la sovrana, (che stava ritornando in Francia dopo avere accompagnato il consorte alle crociate) cavalcava, benché incinta di sei mesi, assieme al resto del corteo reale quando, in un punto particolarmente critico, spinse il cavallo fra i sassi sdrucciolevoli del fiume. L'animale incespicò e la trascinò con sé nelle acque gelide del Savuto. L'episodio venne descritto efficacemente da Gabriele D'Annunzio nelle Laudi:

"Isabella D'Aragona
sentiva già l'orrore della sorte
imboscata né monti ove risuona
giù per la costa calabra il maligno
guado che lei travolse e la corona." 

La sfortunata regina giunse in fin di vita a Cosenza, qui spirò assieme al bambino che portava in grembo e qui venne inizialmente sepolta nel duomo della città (che ancora ne conserva il monumento funebre) per poi essere successivamente traslata in Francia.

Tutto questo credo che possa aiutare a capire che il mulattiere, in questi luoghi impervi era il mestiere perfetto. Tutti avevano necessità di un mezzo di trasporto quando la schiena e le proprie spalle non erano sufficienti a reggere il peso di ciò che si voleva trasportare. Ed il mulo, a questo scopo, era l'animale perfetto: dalla costituzione forte e robusta, resistente alle malattie e adattabile agli ambienti sfavorevoli.
Di muli Nicolò ne possedeva due come risulta dal catasto che certamente non erano la sua unica fonte di reddito, ma ne costituivano la parte preponderante. Basti pensare che, come risulta dai documenti, questi generavano una tassazione di 50 oncie, contro le sole 20 oncie della casa di proprietà o le 23 di un grosso castagneto. Completavano il patrimonio di Nicolò, a testimoniare il fatto che comunque svolgeva altre attività oltre a quella di mulattiere, due preziosi buoi da aratro, alcuni altri appezzamenti di terreno ed alcuni crediti che vantava verso dei suoi concittadini.

Fra i "pesi" che andavano a decurtare il reddito imponibile quello che mi incuriosisce di più è il pagamento perpetuo da parte di Nicolò di 14 carlini per celebrazione di messe, presso la vicina chiesa di San Marco, in memoria di Prospero Stumpo. Chissà per quale motivo.

Il tutto, immobili, terreni, crediti e animali dedotti i pesi generarono una tassazione (espressa nella valuta convenzionale del catasto) di 120 oncie, grani 20 e cavalli 4 che era senz'altro fra quelle di fascia più alta in paese.

I Li Marzi ad ogni buon conto non rimasero benestanti a lungo visto che, 50 anni dopo, ci fu da parte degli invasori francesi di Napoleone un vero e proprio tentativo di sterminio della famiglia che, seppure parzialmente fallito, la privò completamente di tutti quei beni che Nicolò aveva pazientemente e sapientemente accantonato. Sto parlando ovviamente dell'uccisione di Pasquale e Stefano Li Marzi e, probabilmente, della sparizione di Antonio Li Marzi (suoi nipoti in quanto figli del suo primogenito Vincenzo).


SILVIO LIMARZI


1 commento:

  1. Molte cose me le avevi già raccontate;comunque, trovo diverse novità e tanta coerenza col vissuto marzese fino all'immediato dopoguerra.Ora dovresti fare uno sforzo ulteriore e molto importante:capire qualcosa del nonno di Nicolò,perchè è nel XVII-mo secolo ove si nascondono le origini(da dove venivano, chi erano,...) i li Marzi. Di cuore, complimenti.

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